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Escobar

di Andrea Di Stefano — Francia, Spagna, Belgio, 2014, 120'
con Benicio del Toro, Josh Hutcherson, Brady Corbet, Claudia Traisac, Carlos Bardem, Ana Girardot

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Nick pensa di aver trovato il paradiso quando raggiunge il fratello in Colombia. Una laguna turchese, una spiaggia d'avorio, onde perfette - è un sogno per questo giovane surfista canadese. Poi incontra Maria, una splendida ragazza colombiana. I due si innamorano follemente e tutto va benissimo fino a quando Maria presenta Nick a suo zio: Pablo Escobar.

Dopo il passaggio e la buona accoglienza a Toronto arriva anche al festival di Roma nella sezione Gala Escobar – Paradise Lost, un film che di italiano ha solo l'autore, Andrea Di Stefano, attore romano dal curriculum internazionale, che ricordiamo in film come Il principe di HomburgPrima che sia notteCuore sacro e Vita di Pi.

Per realizzare un tipo di film purtroppo ancora impensabile per il nostro sistema produttivo, il regista si è rivolto in Francia, Spagna e Belgio, dove ha trovato i finanziatori per la sua - a nostro avviso - notevole opera prima.Escobar rientra infatti a pieno diritto nei canoni del film di genere ed è al tempo stesso biopic, thriller e action movie. Lo è senza cadute di tono e di tensione e senza complessi di inferiorità, dimostrando un'ottima conoscenza dei meccanismi narrativi e del linguaggio del cinema che Di Stefano ha scelto di affrontare. Non è il debutto che ci saremmo aspettati da parte di un regista italiano e per questo - se del film ci avrebbe fatto piacere già solo l'esistenza - siamo ancora più colpiti dal risultato.

La storia – che prende spunto da un episodio autentico – racconta come la vita di un giovane e innocente surfista canadese che si trova in Colombia col fratello, venga distrutta dall'incontro fortuito con una figura quasi mitologica: quella del ricchissimo boss del narcotraffico Pablo Escobar, a capo negli anni Ottanta del cosiddetto Cartello di Medellìn.

Se è perfetta la scelta di Josh Hutcherson e Claudia Traisac nel ruolo degli amanti innocenti, è Benicio del Toro, ancora una volta, il mattatore del film. Per somigliare anche fisicamente al narcotrafficante, l'attore – le cui trasformazioni ormai non si contano - è molto ingrassato e ha deformato corpo e lineamenti. Il carisma, il senso di minaccia e la potenza che emanano da questa presenza ingombrante, inglobante e a modo suo irresistibile è simile in modo inquietante a quelli attribuiti al vero Escobar, idolatrato dal popolo come benefattore, in realtà feroce assassino e mandante delle stragi dei suoi oppositori e degli incorruttibili al governo, fino a creare una rete quasi globale di fiancheggiatori e informatori anche nella polizia e nelle forze armate. Padrone assoluto del paese, Escobar – dopo essersi costituito per sfuggire all'estradizione negli Usa e alla vendetta dei suoi nemici - fuggì dopo un anno di prigionia dorata e venne ucciso nel 1993. Il film di Di Stefano ce lo presenta proprio quando sta per costituirsi e chiama a raccolta i fedelissimi, tra cui il fidanzato canadese della nipote, per mettere in salvo il suo tesoro.

In un film che parla di tradimento, fiducia, incontri sbagliati, ingenuità e del potere seduttivo del male, Benicio del Toro è un vero e proprio gigante, che meriterebbe di passare alla storia per avere saputo incarnare in modo tanto potente le due anime contrapposte dell'America Latina: Che Guevara e Pablo Escobar.

E se il film, come hanno scritto  alcuni, rispetta tutti i requisiti canonici, lo fa sempre in modo intelligente e mai derivativo, dando vita a un'opera in grado di non sfigurare sui palcoscenici internazionali. Se neanche questo bastasse, saremo sempre grati a Di Stefano per aver fatto cantare a del Toro una versione ispanica di "Dio come ti amo", una scena che da sola vale un intero film.

comingsoon.it