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Eisenstein in Messico

di Peter Greenaway — Belgio/Francia/Messico/Olanda/Finlandia, 2015, 105'
con Elmer Bäck, Luis Alberti, Maya Zapata, Rasmus Slätis, Jakob Öhrman, Lisa Owen, Stelio Savante
proiezione in inglese con sottotitoli in italiano

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1931. Sergej Ejzenstejn si trova al vertice della sua carriera artistica. Decide di recarsi in Messico dove girerà Que Viva Mexico! con cui intende celebrare la rivoluzione del 1911 che sente come la più vicina a quella russa. Da poco respinto dal cinema hollywoodiano e con il regime sovietico che vorrebbe un suo rapido rientro in patria, Eisenstein raggiunge la città di Guanajuato. A fargli da accompagnatore è Palomino Cañedo grazie al quale scoprirà molte cose sul Messico ma anche su se stesso e sulla propria sessualità. Saranno dieci giorni che cambieranno per sempre la sua vita.

Protagonista negli anni 80 della scena cinematografica più sofisticata con la sua eclettica vocazione al connubio tra schermo e altre arti, figurative e musicali (Philip Glass, Michael Nyman, Wim Mertens), il regista gallese Peter Greenaway ritrova con Eisenstein in Messico ("Eisenstein in Guanajuato", dal nome della cittadina dove soggiornò) tutta la sua provocatoria, come sempre discutibile ma brillante ispirazione. Malgrado le intenzioni iniziali di tipo biografico e documentaristico il risultato ci offre un film-film. Un'interpretazione della figura di Eisenstein fondata su alcuni dati documentati. Relativi a un periodo strettamente circoscritto: "i dieci giorni che sconvolsero" la vita di Serghei Michailovic Eisenstein, parafrasando il celeberrimo reportage dell'americano John Reed sulla Rivoluzione d'Ottobre.

Di famiglia borghese (nativo di Riga, Lettonia, da madre russa e padre architetto di fama a sua volta figlio di un ebreo tedesco e di una svedese protestante) ma giovanissimo aderente al bolscevismo, Eisenstein era un astro della nuova arte dopo la trilogia rivoluzionaria composta dai film Sciopero, La corazzata Potemkin e Ottobre (accompagnati da fondamentali elaborazioni teoriche sull'uso del montaggio) quando poco più che trentenne  -  era nato nel 1898  -  partì dall'Unione Sovietica per compiere un lunghissimo viaggio. Che, dopo aver attraversato le capitali europee, lo condusse dapprima negli Stati Uniti e infine in Messico. Siamo nel 1931. Dopo aver incontrato il fior fiore del cinema e dell'arte mondiale  -  da Brecht a Joyce, da Cocteau alla Garbo, Disney che lo impressionò molto e Chaplin a Hollywood (dove fallisce il progetto di realizzare un film da Una tragedia americana di Dreiser), e in Messico accolto da Frida Kahlo e Diego Rivera  -  il regista raggiunge la cittadina di Guanajuato per girarvi una docufiction, diremmo oggi, sul Messico e la sua cultura. Doveva intitolarsi Que Viva Mexico! Ma nonostante i chilometri di pellicola impressionata con i suoi stretti collaboratori Alexandrov e Tissé, l'operatore, il film non sarebbe mai esistito. Ne sarebbero state esibite varie versioni apocrife a partire da quella intitolata Lampi sul Messico che, sulla base di un montaggio arbitrario, sarebbe stata presentata a New York dai produttori nordamericani. Eisenstein era stato richiamato a Mosca da Stalin in persona, che di lì in avanti gli avrebbe reso la breve vita  -  morirà cinquantenne   -  molto difficile.

Ma dei dieci giorni che il regista trascorre a Guanajuato  -  dal 21 al 31 ottobre, passando per l'anniversario della Rivoluzione  -  Greenaway mette in scena un angolo buio. E' vero che fa appello alla biografia dell'americana Marie Seaton e ad alcuni testi epistolari come la corrispondenza con la fidatissima assistente e confidente Pera Atasheva, che poi egli sposerà, ma la suggestione esercitata su Eisenstein dall'intreccio rituale tra amore e morte e in particolare l'incantamento provato per il suo accompagnatore messicano Palomino Cañedo che lo avrebbe gioiosamente e liberamente iniziato al sesso e all'omosessualità, poggia su supposizioni ed è una visione di Greenaway. Potrà sconcertare e scandalizzare ma questa creativamente ricostruita parte per il tutto è anche un'affascinante sintesi della grandiosa personalità di Eisenstein. "Il suo cinema  -  dice Greenaway  -  fu propaganda nel modo in cui la Cappella Sistina è stata magnifica propaganda per il cattolicesimo".

Paolo D'Agostini, la Repubblica