giovedì
07
novembre
21:15

Un amore di gioventù

di Mia Hansen-Løve — Francia/Germania, 2011, 110'
con Lola Creton, Magne Brekke, Gregoire Akcelrod, Olivier Yglesias, Sebastian Urzendowsky, Serge Renko

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La storia d'amore tra Camille e Sullivan, nata quando erano ancora adolescenti, sopravvive allo scorrere del tempo e alla lontananza. Si conoscono a Parigi, nell'inverno del 1999, quando lei ha 15 anni e lui 19, si lasciano poco dopo per la scelta di Sullivan di trasferirsi in Sud America. Per la disperazione di non ricevere più sue notizie, Camille prova invano anche a suicidarsi, e il ritorno alla normalità si prospetta più duro e lungo del previsto. La rassegnazione alla perdita dell'amato è aiutata solo dall'immersione nello studio, dalla scelta di frequentare l'università di architettura, dove incontra Lorenz. Nel 2007, Camille e Lorenz formano una coppia solida fino al momento in cui lei incontrerà nuovamente sul suo cammino Sullivan, capace di riaccendere quel sentimento mai sopito.

15 sono gli anni di Camille, 19 quelli di Sullivan, «amore» è la parola con cui chiamano ciò che li unisce. Ma è un termine instabile, il suo significato oscilla, per ognuno, in ogni istante. Lui parte per il Sudamerica, da lontano, poi, le scrive «addio». Lei non crede che ciò che sente sia acerbo, ostinata cerca di togliersi la vita, come aveva promesso, minacciato. Negli anni si riprende, si concentra sull’architettura, frequenta il suo professore, lo emula, lo ama. Lui è tornato, non è cambiato, non è cambiato nulla. O forse. O forse sì. Mia Hansen-Løve, dopo Tout est pardonné (inedito da noi) e Il padre dei miei figli, chiude una trilogia sul superamento dell’assenza e guarda all’amore che non si scorda mai: il primo. Parlando (anche) di sé, perché la relazione con il docente richiama la propria con Olivier Assayas. C’è il cinema francese d’annata, qui. Quello che non conosce scene madri, quello che coglie nei silenzi, nelle stasi, nei dettagli di un giorno qualunque l’essenza dei sentimenti: da Garrel la precisione dei particolari, da Eustache l’acume sociologico, da Rohmer la levità di scrittura. E quando sul finale l’ingenuo simbolo dell’amore se ne vola via sulle note di Johnny Flynn (unica concessione alla forzatura poetica), ci sovvengono teneri e amari quei versi che chiudono una poesia di Sereni, dopo che i baci erano nell’aria: «Ma nulla senza amore è l’aria pura/l’amore è nulla senza la gioventù».

Giulio Sangiorgio, FilmTV