06 marzo 2024

Un oceano di memorie distorte: Memory di Michel Franco

Rispetto all’incendiario Nuevo orden e al glaciale Sundown, siamo di fronte a un Michel Franco sorprendentemente dolce e centrato, che si affida alle ottime prove di Peter Sarsgaard e Jessica Chastain per raccontare la storia di due emarginati, resi tali rispettivamente da ciò che dimenticano e da ciò che non possono fare a meno di dimenticare. Il regista messicano leviga i suoi personaggi, soffermandosi sui loro tic, sui loro sguardi pieni di tristezza e sulle loro paure (quanto cinema e quanta amara realtà in quell’indugiare sulle routine di Sylvia per la sicurezza sua e della sua abitazione), lasciando che il muro di diffidenza venga superato con i giusti tempi.

Nel mentre scopriamo molto su entrambi, in particolare su due famiglie accomunate dal desiderio di lasciare gli scheletri nell’armadio. Quello che si prefigura come un thriller, con un lungo e inquietante pedinamento, si trasforma dunque in un dramma familiare, fatto di fratelli insensibili e inutilmente autoritari (Josh Charles), di sorelle troppo buone per dire di no e troppo ingenue per cogliere le verità più raggelanti (Merritt Wever) e di madri che scelgono la via peggiore per tenete tutto assieme, ovvero nascondere la polvere sotto il tappeto nella fallace speranza che non riemerga mai (Jessica Harper, indimenticabile Susy di Suspiria).

In un mondo intorno a loro fintamente in controllo, non possiamo quindi che innamorarci delle due schegge impazzite Saul e Sylvia, che guardano film insieme anche se lui non riesce più a seguirli e che si fanno forza a vicenda anche se riescono a malapena a badare a se stessi. [...]

È un cinema da difendere e proteggere quello di Memory, proprio come i suoi protagonisti. Un cinema fatto di spazi angusti e di personalità che cercano invece faticosamente di farsi strada, in cui i tanti vuoti (di trama, di senso, di memoria) sono tessere di un puzzle impossibile da completare, come è impossibile trovare un verità chiara e incontrovertibile in un oceano di ricordi distorti e distrutti. «Come sei arrivato qui?», chiede Sylvia. «Non lo so», risponde Saul. «She said there is no reason and the truth is plain to see», cantano i Procul Harum. Forse stavolta può bastare.

Marco Paiano, LostInCinema

29 febbraio 2024

16 millimetri alla rivoluzione: l'eredità del PCI e il cinema militante

16 millimetri alla rivoluzione nasce da due incontri che per il regista sono stati fondamentali: quello con l'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e quello con Luciana Castellina, giornalista, scrittrice, politica, europarlamentare e fondatrice del Il Manifesto.

Inizialmente 16 mm alla rivoluzione doveva essere un documentario dedicato al PCI: alla sua storia, alla sua forza, ai suoi membri. Sarebbe stato un film collettivo e Piperno e Luciana Castellina ne avrebbero dovuto firmare un segmento. Il segmento pian piano è diventato un lungometraggio, attraversato dall’entusiasmo e dalla meraviglia dello stesso Giovanni Piperno di fronte alle immagini di opere di Citto Maselli, Ettore Scola, Bernardo Bertolucci, Gillo Pontecorvo, Ugo Gregoretti e tanti altri. E anche se il film è attraversato dai ricordi di Luciana Castellina, è diventato qualcosa di diverso dal classico reportage con intervista.

Versione dopo versione, il film si spogliava di ogni tentativo di narrazione biografica o storica, peraltro mai veramente perseguita, per lasciare il passo ad una costruzione affettiva, forse anche incerta, in un certo modo anche sinfonica, fatta di film, di storie di cinema e di cineasti, di amore per le immagini e di passione per il racconto del reale attraverso la macchina da presa

16 millimetri alla rivoluzioneè dunque un viaggio nella nostra storia politica e anche la testimonianza “di un cinema libero, sperimentale, dal basso, empatico”.

Carola Proto, ComingSoon

28 febbraio 2024

Aperte le prevendite per i laboratori del carbone dei piccoli

Data la grandissima richiesta, abbiamo deciso di raddoppiare l'appuntamento con lo chef Gianfranco Allari: il laboratorio Piccoli Chef avrà due turni, alle 15:15 e alle 16:45. I posti per questo e per i rimanenti laboratori sono acquistabili da stamani in prevendita web: https://www.webtic.it/index.htm#/home?action=loadLocal&localId=5557

20 febbraio 2024

Appuntamento a Land’s End: un commovente viaggio attraverso la Gran Bretagna

Il regista inglese Gillies MacKinnon, già vincitore del Festival di Berlino nel 2003 per Pure, con Appuntamento a Land’s End e grazie all’interpretazione di Timothy Spall compone una meditazione sul senso della vita, degli affetti e sull’importanza di onorare le promesse fatte alle persone care in un viaggio che attraversa la Gran Bretagna dalla Scozia alla Cornovaglia.

Sul finire degli anni ’40 in Inghilterra, in un posto chiamato Land’s End, nella penisola di Penwith, due giovani, Tom e Mary, si innamorano, si sposano, hanno un bambino. Sono felici, ma qualcosa di grave accade e Tom decide di trasferirsi lontano con Mary a nord, molto a nord, a John o’ Groats in Scozia. Molti anni dopo Tom è un uomo anziano e solo, ma sa di avere ancora qualcosa di molto importante da fare. Deve tornare a Land’s End e vuole fare questo viaggio di ritorno esattamente come fece quello di andata decenni prima: solo prendendo una serie di bus.

Quella di Tom e Mary è una piccola storia, eppure il viaggio di lui da un capo all’altro della Gran Bretagna con una semplice, ma preziosa valigetta diventa un racconto epico, simbolico, intimo e universale. Non a caso il titolo originale del film è The Last Bus e lascia intendere il senso di questo ultimo viaggio, mentre quello italiano, Appuntamento a Land’s End, richiama quel momento finale imprescindibile della vita a cui il nostro protagonista intende arrivare puntuale e preparato. Avanti e indietro nel tempo, nei ricordi, tra passato e presente, Tom ripercorre la strada che tanti anni prima lo avevano portato lontano dal luogo in cui lui e Mary erano stati più felici al mondo, raccogliendo, lungo quelle centinaia di miglia passando da un bus all’altro, quanto di più prezioso c’è stato nella sua vita. Come a voler rimettere insieme ciò che più conta nell’esistenza di un essere umano, Tom si prepara all’ultimo vero grande viaggio finale e il mondo intorno a lui piano piano si accorge che la sua piccola storia comune in realtà non ha nulla di semplice.

Timothy Spall interpreta Tom con straordinario talento, il suo volto, così naturalmente corrucciato che si apre improvvisamente a sguardi intensi ed espressivi, e il suo incedere affaticato, incerto, ma tenace incarnano anche fisicamente il senso del viaggio folle ed emozionante del protagonista. Intorno a lui si dispiegano paesaggi naturali e umani a volte straordinari a volte miseri e fatiscenti, in un altro realistico contrasto che simbolicamente ricorda il cammino stesso della vita. Al fianco di Spall è degna di nota anche la presenza di Phyllis Logan, conosciuta per aver interpretato la signorina Hughes, indimenticabile governante delle 6 stagioni di Downton Abbey, nei panni di Mary.

Vania Amitrano, Ciak

18 febbraio 2024

i laboratori del carbone dei piccoli al via!

Mentre si avvia a chiudere ai tempi supplementari la rassegna di film della domenica pomeriggio per bambini e famiglie, ecco che il carbone dei piccoli rilancia con una doppia programmazione di attività laboratoriali all’Oberdan e - per la prima volta - al Centro Famiglie Insieme di Valletta Valsecchi.

L’ormai tradizionale ciclo di laboratori con merenda parte già sabato 24 febbraio con Giovani clown per grandi avventure, un workshop per apprendere la giocosa arte della clownerie tenuto da Manuela Ara, attrice e formatrice teatrale. Tenendo fede alla sua vocazione multiesperienziale, il carbone dei piccoli lab porterà i suoi partecipanti a improvvisarsi piccoli chef con Gianfranco Allari (sabato 23 marzo), creature marine o d’alta quota grazie a Essere animale condotto da Delfina Stella (6 aprile), per arrivare a creare un piccolo e antico film d’animazione grazie alle meraviglie del precinema spiegate da Pietro Grandi (20 aprile).

Un corso intensivo di tecniche e trucchi del cinema è quello che il cinema del carbone proporrà in tre sabati di marzo al Centro Famiglie Insieme. Sabato 2 marzo (Un viaggio nella luna) Rosanna Lama inizierà bambini e bambini alla cut-out e alla collage animation, ovvero al cinema fatto con carta, forbici e colla. Grazie ai due laboratori tenuti da Avisco, i piccoli aspiranti cineasti scopriranno invece le immense potenzialità della tecnica del green screen (Effetti molto speciali - 9 marzo) e dell’animazione in stop motion applicata all’uso della plastilina (Telepongo - 16 marzo).

Tutti i laboratori avranno inizio alle 16.15. Per le attività previste all’Oberdan il costo di iscrizione è di 5 euro; i laboratori al Centro Famiglie Insieme sono a ingresso libero. In entrambi i casi è richiesta la prenotazione attraverso il form online disponibile alla pagina della rassegna.

I laboratori del carbone dei piccoli rientrano nel progetto Welfare cinema sostenuto dal Comune di Mantova. La rassegna all'Oberdan è realizzata anche grazie al contributo di Coop Alleanza 3.0 e di Levoni.

13 febbraio 2024

Un melodramma al tempo raffinato e sguaiato: La natura dell'amore di Monia Chokri

In passato attrice per Xavier Dolan (in Gli amori immaginari e Laurence Anyways), nei lavori da regista Chokri, québécoise anche lei, ha scelto uno stile simile a quello dell'amico e collega: un cinema dallo stile formalista ed esibito, in cui immagini curate al limite dell'estetizzante riproducono la superficialità delle trame e i toni tra l'eccessivo e il grottesco.
La natura dell'amore è un melodramma, e come tale parla soprattutto in termini visivi, affidando alla caratterizzazione dei personaggi - gli abiti, l'ambiente in cui si muovono, le parole che usano, i gesti che compiono, anche le urla che emettono - il compito di esprimere le loro emozioni e i loro desideri.
Sophia (interpretata da Magalie Lépine Blondeau, un vulcano sul punto d'esplodere) è bella, elegante, composta, veste tailleur color beige, così come suo marito Xavier (Francis-William Rhéaume) indossa colori spenti e parole monotone (in una discussione arriva a sostenere che una vita tranquilla e senza sesso è preferibile a una ansiosa). L'altro vertice del triangolo, che in breve tempo diventerà un semplice gioco a due, è il rude Sylvain (Pierre-Yves Cardinal, che aveva un simile ruolo da oggetto del desiderio in Tom à la ferme di Dolan), definito invece da un look da hipster anni Duemila, barba folta, camicia da boscaiolo, cappello da baseball, scarponi e bicipiti gonfi... Tre maschere, dunque, tre stereotipi che affermano al primo sguardo frustrazione sessuale, assopimento e irruenza. Il film gioca con i modelli figurativi e narrativi che si diverte a squadernare, compresa ovviamente l'attrazione degli opposti che unisce Sophia e Sylvain, e con un tono tipicamente "dolaniano", cioè sguaiato e liberatorio, prova a scardinare entro le regole di una tipica storia d'amore impedita.

Il punto di vista è quello di Sophia, la sua voglia di sesso, il suo godimento, la sua scelta distruttiva, come suggerisce il titolo originale del film, Simple comme Sylvain, semplice come Sylvain. Agli occhi della donna colta ma irretita da anni di frustrazione, l'uomo brutale e dai modi spicci appare il viatico semplice per un amore liberatorio, il contraltare di tutte le sovrastrutture della vita borghese. Se non fosse, ovviamente, che anche l'amore passionale ha le sue, di sovrastrutture, e pure i sempliciotti sanno mettere due pensieri in fila.

Roberto Manassero, Mymovies

07 febbraio 2024

Divertente, struggente, vitale, agrodolce, cinefilo, poetico: Foglie al vento di Aki Kaurismäki

Di lei si sa solo il nome, Ansa. Di lui solo il cognome, Holappa. Le loro vite sono meno che mediocri, a uno sguardo superficiale; la periferia di Helsinki è dura, respingente, per chi cerca e perde lavoro, per chi è sola e si tiene stretta l'unica fortuna di un monolocale ereditato dalla zia. Eppure, i due diventano protagonisti di una storia unica, raccontata con acutezza e ironia dal genio di Aki Kaurismäki, il regista finlandese che da decenni ci invita a guardare oltre le apparenze, rivelandoci che la verità non è quella che si vede, ma che si nasconde sotto la coltre delle consuetudini e delle convenienze sociali.
Così è per l'ultimo Foglie al vento, ideale prosecuzione della Trilogia del proletariato, tre film girati nei decenni, Ombre nel paradiso, Ariel e La fiammiferaia, ma, se possibile, ancora più riuscito, nel delineare sentimenti e sfumare personalità, proiettandoli in una dimensione poetica e profonda.
Un'umanità minore, emarginata, deprivata della propria identità sociale, che però - ed è questa la tesi del regista - conserva sentimenti, dignità, desiderio di riscatto, di amicizia, di amore. Quell'amore che i due intravvedono una sera, e inseguono caparbiamente, cadendo e rialzandosi, tra lunghi silenzi e battute fulminanti, attese e pentimenti.
Una storia comune, che viene trasformata dalla visionarietà dell'autore, nobilitata da una fotografia brillante, del maestro Timo Salminen, che si avvicina ai quadri di Hopper, e dall'espressività disincantata e apparentemente impassibile, sul filo del nichilismo, delle maschere nude dei suoi personaggi. Il tutto rappresentato in una Finlandia paranoica e alcolica, sintetizzata dalla figura di Holappa, che ha perso il proprio nome di battesimo e si consuma fra wodka, sigarette e rimpianti, senza perdere il proprio aplomb, ma che è pronto a riscattarsi e ricominciare da (meno di) zero.
Che Kaurismäki sapesse come farci sorridere e riflettere insieme era risaputo; che la tragicommedia fosse la dimensione a lui più congeniale, anche; ma la vera sorpresa del film sta nell'aver messo insieme una storia d'amore, con finale che rievoca, e non a caso, Tempi moderni, e un potente ritratto di una postmodernità industriale, nella quale occorre un'immensa forza d'animo per credere ancora nella solidarietà e nell'amore. Indimenticabile.

Laura Bianchi, Mescalina.it

30 gennaio 2024

How to Have Sex: un ritratto della giovinezza di cui ci si ricorderà a lungo

How to Have Sex, opera prima di Molly Manning Walker che ha vinto il Prix Un certain regard al 76° Festival di Cannes, sembra avere inizialmente uno sguardo asettico e poi gradualmente scende sempre più in profondità nelle viscere di una storia che mostra il vuoto dopo l’estasi, la noia dopo il desiderio, la voglia istintiva improvvisa di trovarsi in un altro posto. Il tempo è come dilatato. Eterno ma anche velocissimo. Non c’è spazio per una confidenza se non passeggera, per un abbraccio se non respinto come quello sul letto di Paddy nei confronti di Tara, resa così vera e autentica dall’interpretazione di Mia McKenna-Bruce, che si era già fatta conoscere con le serie Get Even e Vampire Academy. La macchina a mano cerca di intrappolare tutti quei momenti: le reazioni dopo i risultati della scuola, gli sguardi, l’apatia del giorno con l’euforia della notte. Cattura i colori come il cinema di Korine (in particolare Spring Breakers) ma sembra accumulare anche le istantanee di un ricordo come Aftersun. Per questo, nella sua straripante fisicità, travolge e inebria, mostra con un istinto animalesco la ricerca del consenso e regala dei ritratti della giovinezza di cui ci si ricorderà a lungo. How to Have Sex è un film ispiratissimo, che sa filmare con incredibile spontaneità ogni pensiero, anche quelli mentre il divertimento è al massimo. Senza bisogno di dialoghi verbosi (non ce ne sta neanche uno) e di voci-off. Dei protagonisti ci ricordiamo soprattutto della loro voce. E dei loro volti. Ogni inquadratura, come quella di Tara che cammina all’alba nella strada deserta, fa prima di tutto parte di un personale monologo interiore prima di diventare traccia di una memoria (forse) da condividere.

Simone Emiliani, SentieriSelvaggi

24 gennaio 2024

La quercia e i suoi abitanti: la meraviglia nascosta in un albero secolare

Alba di una mattina di fine estate. Lungo un fiume che costeggia un grande bosco, spicca un’imponente quercia. Le sue radici si espandono saldamente nel terreno circostante, creando quasi un’arena che separa il grande albero dagli altri. D’un tratto, uno scoiattolo rosso fa capolino dal suo nido di rami e, dopo essersi guardato attorno, comincia a perlustrare vivacemente il territorio, controllando pazientemente la maturazione delle ghiande della quercia. Dopo di lui, tanti altri personaggi si rivelano: una colorata coppia di ghiandaie che si rincorre sui rami dell’albero; diversi balanini, piccoli insetti coleotteri, che si arrampicano lungo la corteccia; caprioli e cervi che pascolano ai piedi del grande albero; una numerosa famiglia di topolini selvatici sbuca da una tana all’altra, in cerca di cibo. La quercia è la casa di tutti questi animali. [...]

La forza del film risiede proprio nel saper offrire una visione così ravvicinata del mondo animale, che si tratti di immagini macrofotografiche del mondo invisibile o di riprese acrobatiche, come gli inseguimenti aerei, le riprese notturne e le sequenze in slow motion. L’effetto è quello di riuscire a meravigliare tutto il pubblico, anche quello avvezzo al genere, grazie all’intervento di tecnologie sempre più performanti. Sono diverse le sequenze in cui ci si vien da chiedere:  «ma come diavolo hanno fatto?». La meraviglia è il fulcro del film.

Carlo Mariano, DasCinemag

09 gennaio 2024

Viaggio in Giappone: Isabelle Huppert, il dolore di Élise Girard e i fantasmi del passato

Un film apparentemente piccolo, ma pensato, scritto e girato così bene, da ricordare non tanto Lost in Translation di Sofia Coppola dalla trama similare, quanto invece il cinema di François Truffaut, sia nei toni che nei sapori. È vero infatti che Sidonie, portata in scena da Isabelle Huppert, si trova simpaticamente a disagio con la cultura e con le persone giapponesi, come il personaggio di Antoine Doinel nel quarto film del suo ciclo (Non drammatizziamo…è solo questione di corna) in cui ha una relazione con una donna giapponese. Ma il confronto si fonda soprattutto su come la regista Élise Girard gira il suo film e su come girava Truffaut. Entrambi bene, anzi, benissimo, sempre accompagnati da musiche straordinarie, posizionate nei momenti giusti. [...]

Viaggio in Giappone racconta di una scrittrice di successo che arriva a Tokyo, dove l’editore nipponico l’ha invitata per un giro di conferenze in occasione della ristampa di uno dei suoi romanzi. Il viaggio cullerà i due personaggi alla ricerca di un nuovo inizio, che faccia dimenticare per sempre le proprie ferite. Quelle di lei, in particolare, legate allo straziante lutto del marito (August Diehl) dalla presenza fissa come fantasma di dolore durante il viaggio. La montagna, il mare, i giardini, gli auditorium per le conferenze, gli hotel, i grattaceli, tutto è descritto dalla macchina da presa della Girard come se fosse una penna, o meglio, una matita dal tratto leggero ed elegante. Delicatezza, dolcezza, lieve ironia sono le migliori qualità di un film delizioso, ma anche i suoi interpreti sono perfetti, sempre in scena, sempre che incuriosiscono: Huppert e Ihara, dall’alchimia contagiosa. Viaggio in Giappone cattura l’essenza della solitudine e della speranza, e quindi della bellezza.

Alessandro Ricci, TheHotCorn