Alain Danielou: il labirinto di una vita
di Riccardo Biadene — Italia, Svizzera, 2017, 78'
proiezione in inglese, italiano, francese, tedesco con sottotitoli in italiano
Un viaggio musicale, esistenziale, spirituale: è quello di Alain Danielou che nel 1932, per sfuggire a un Occidente che gli sta stretto, con il suo compagno fotografo Raymond Burnier lascia la Bretagna per intraprendere un percorso di scoperta che lo porterà sulle rive del Gange. A Varanasi, nel palazzo di Rewa, vivrà 15 anni studiando il sanscrito, i testi vedici, la filosofia, la musica e la danza indiane, alla ricerca di un’armonia fra natura e spirito che il continente in cui è nato sembra aver dimenticato. Un film intimo, esotico, perturbante eppure familiare, che segue la complessa e fascinosa trama di una vita ma, come un labirinto, costruisce un’esplorazione più profonda dell’esistenza, destinata a riportarci al centro di noi stessi.
La storia di Danielou, scomparso negli anni ’90, è raccontata dal regista Riccardo Biadene con i tempi di un lento raga e i colori ocra dei templi hindu, ricco di una seria ricostruzione storica, interviste e testimonianze, dagli anni di “iniziazione” mistica dell’ex danzatore – “scomunicato” dalla famiglia perché gay – alla sua amicizia con il Nobel Tagore al quale presento’ Andrè Gide, agli ashram dei suoi guru che lo sottoponevano a severe penitenze per trasmettergli “da bocca vecchia a orecchio giovane” i segreti della propria musica e della spiritualità vedica. La lentezza del film è forse indispensabile per imprimere nella memoria passaggi di una storia complessa, un vero labirinto di incontri, di eventi memorabili, sogni e delusioni che riemergono assieme all’essenza del messaggio di questo grande studioso anomalo, che è stato a lungo contestato anche dopo il suo best seller Miti e dèi dell’India perché non era un accademico. Ma da audidatta Danielou riuscì laddove nessuno aveva ancora osato tentare, creare un ponte solido tra culture fino a quel momento semi sconosciute l’una per l’altra. Non solo Gide ma Renoir, il coreografo Bejart e numerosi artisti dopo di loro – Philip Glass, Steve Reich, gli stessi Beatles – hanno beneficiato dell’impegno di Danielou per offrire al suo occidente qualche perla tra quelle da lui scoperte 80 anni fa lungo le rive del Gange e dell’Oceano, ai piedi di saggi delle foreste e in città sacre e immortali come Benares, dove la residenza di Danielou e del suo compagno Raymond divenne punto di riferimento per decine di artisti e monaci erranti sadhu. Perfino Indira Gandhi gli scrisse una lettera dove sottolineava il suo ruolo unico nel divulgare l’arte indiana nel mondo.
Già negli anni ’60 a Berlino e Venezia, dove la Fondazione Cini ospito’ l’Istituto a suo nome, Danielou fece conoscere grandi artisti della scena classica indiana, tentando sempre di creare per loro un diaframma di protezione dalle contaminazioni, dai “modernismi” che presto ebbero pero’ la meglio anche sull’opera di alcuni mostri sacri di quella musica. Fu il caso del sitarista Ravi Shankar che deluse Danielou fin dai suoi primi concerti assieme al celebre Yehudi Menuhin. Il successo di pubblico di quei loro duetti violino-sitar fu l’inizio della fama di Shankar e del boom di arrivi di artisti indiani in Occidente, ma anche la fase di avvio di esperimenti di fusion che l’artista francese riteneva “abominevoli”. Lui che aveva passato sei anni a studiare senza pause con un maestro di sitar a Benares prima di fuggire dal suo eremo di sola musica e miti. La ricostruzione di Riccardo Biadene gli rende omaggio con perdonabili lacune su tutta l’attività letteraria e antropologica di Danielou, dagli studi sui testi antichi alle ricerche di leggende degli antichi popoli originari del grande Continente. Ma il viaggio del film nel labirinto esistenziale di quest’uomo controverso e straordinario, ci accompagna per mano attraverso uno dei più prolifici periodi di incontro tra culture dell’era moderna. Un viaggio fisico, musicale e mentale che dovrebbe percorrere chiunque voglia comprendere – piaccia o non piaccia – la fascinazione occidentale per l’India che dura fino ai giorni nostri.Raimondo Bultrini – repubblica.it
La serata è in collaborazione con Yoga padma Niketan. Presenta il film il regista Riccardo Biadene