martedì
10
marzo
18:15 21:15

DAYS OF HOPE

di Ditte Haarløv Johnsen — Danimarca, 2013, 74'
proiezione in Inglese con sottotitoli in Italiano

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Ogni anno migliaia di africani cercano di raggiungere l'Europa, lasciandosi tutto alle spalle. Harouna ha salutato la sua ragazza e un figlio, ma è bloccato nella città di Nouadhibou in Mauritania. Thelma era stata abbandonata bambina in Ghana, ora 12 anni dopo raggiunge la madre in Danimarca, per scoprire una vita diversa da quella che immaginava. Austin ha superato il Mediterraneo e passando per il Centro d'accoglienza di Siracusa è arrivato Copenaghen, dove vive di espedienti. Sono solo alcune delle storie che si celano dietro le statistiche sull'immigrazione e i titoli sulle tragedie nei mari d'Europa.

Harouna, pittore, dal Mali è arrivato a Nouhadibou, in Mauritania. Il suo sogno è raggiungere il Vecchio Continente ma è terrorizzato dalla vista di quel mare che in prima battuta respinge gli uomini. I cittadini africani trattenuti nel Centro di prima accoglienza Umberto I di Siracusa, in un'incivile sospensione identitaria e dei diritti: il fatto che siano sopravvissuti al viaggio non li mette al sicuro, anzi. Per loro inizia l'attesa dei documenti senza i quali nessuna vita può ripartire. E Nwasuma, che ha lasciato il Ghana e passando per l'Inghilterra è arrivata a Copenhagen, vive il proprio passato come una lacerazione. Lei e altri "privilegiati" che sono riusciti a mettere piede in Europa hanno la consapevolezza di essere, quando non merce di scambio per criminali, una risorsa monetaria per i propri cari. L'oggetto di uno sfruttamento ancora più amaro. Ad aprire il film le raccapriccianti immagini di uno smartphone - mezzo sempre più centrale non solo nel documentario ma nell'informazione in generale: cadaveri seccati al sole, a seguito del naufragio di un barcone. Qui, per fortuna, senza commento parlato né musicale, che a tratti enfatizza situazioni già molto drammatiche. Meccanismo narrativo centrale è la documentazione delle telefonate a casa: macchina fissa sulla figura di chi parla, audio che registra in viva voce il controcanto di familiari e amici (ma anche, in una scena surreale, del centralino del Consiglio Svedese per l'Immigrazione). Mentre dall'altro capo del telefono arrivano l'incapacità di comprensione e l'inevitabile distacco di chi è rimasto, in campo vacillano i viaggiatori disorientati, stremati. Lo spettatore sperimenta insieme a loro l'alienazione, la graduale perdita di senso. La regista e fotografa Ditte Haarløv Johnson ha una relazione speciale con l'Africa. Nata a Copenhagen nel 1977, a 5 anni andò per la prima in Mozambico coi genitori (partiti per aiutare il governo locale a ricostruire il paese dopo l'indipendenza ottenuta nel 1975) e ci è tornata a più riprese. Il suo sguardo sui migranti privilegia il taglio da ritratto fotografico. Si sforza di essere oggettivo, ma non è privo di una temperatura emotiva, data la fascinazione per i set naturali, come dimostra la sequenza finale del treno "della speranza". La forza del suo film sta nell'intimità con i soggetti intervistati e quindi nella rilevanza delle testimonianze raccolte. Preziose per uno spettatore ragionante, che non si accontenti di essere mosso a generici pietismi e indignazioni autoassolutorie.

Raffaella Giancristoforo - mymovies.it