Dellamorte Dellamore
di Michele Soavi — Italia, 1994, 105'
con Rupert Everett, François Hadji-Lazaro, Anna Falchi, Stefano Masciarelli
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Francesco Dellamorte lavora come custode nel cimitero di Buffalora, fiancheggiato dal fido e muto Gnaghi. Per oscure ragioni, i morti sepolti in quel luogo risorgono animati da istinti omicidi e per annientarli occorre spaccare loro la testa. Per Francesco, uccidere gli zombi è solo un atto di routine; finché un giorno, tra le lapidi, gli capita di incontrare una bellissima vedova. Sarà l’inizio di una discesa nel dolore e nella follia, tra morti viventi e vivi morenti.
Un film/sogno dove commedia nera, romanticismo gotico e horror si fondono in un viaggio dall'atmosfera eterea e grottesca in cui temi come il confine labile tra amore e morte, alienazione e destino s'intrecciano in un crocevia di sensazioni al contempo funeree e raggianti, tra buffo esistenzialismo e cupo umorismo.
Dellamorte Dellamore fu un Grand Guignol di oltre cento minuti tra horror, erotismo e filosofia che rappresentò qualcosa di singolare nello scenario ormai pigro del cinema di genere italiano, un’epoca probabilmente chiusa per sempre. E non doveva meravigliare che il film di Michele Soavi trovasse il grande pubblico disorientato da un’opera che con il mezzo dell’horror cercava coerentemente con il suo tempo altre forme espressive, e che persino la sua nicchia di aficionados ha amato senza spiegarsi bene il perché in quel momento. Ridendoci su, ridendo forse per la prima volta dopo tanto tempo della paura e sulla paura. Perché su quella nicchia Dellamorte Dellamore aveva fatto un lavoro profondo, e forse mai fatto prima: il cinema dell’orrore era morto, viva il cinema dell'orrore.
Ezio Azzolini, Wired
Edizione restaurata per il trentennale dall'uscita.