Honeyland
di Ljubomir Stefanov e Tamara Kotevska — Macedonia, 2018, 85'
proiezione in macedone con sottotitoli in italiano
Per Hatidze le api non sono una ragione di vita, ma la vita stessa. Nei suoi abiti dai colori sgargianti, a mani nude, si arrampica fra le rocce per raccogliere il miele dai favi selvatici, scrupolosamente rispettando la regola “prendi metà, lascia metà”. Ultima discendente di una famiglia macedone che ha preservato l’antica arte dell’apicoltura selvatica, la donna trova il tempo anche per dedicarsi all’anziana madre e alle cure della loro modesta abitazione. Hatidze però non perde mai il suo peculiare buonumore, nemmeno quando la chiassosa carovana composta dal nomade Hussein, dalla moglie, dai sette figli e dalle loro vacche si installa rumorosamente nel villaggio. La donna accoglierà con gioia e generosità i nuovi vicini, condividendo con loro il suo prezioso sapere. Ma l’avidità di Hussein e l’irrequietezza della sua intera famiglia metteranno a serio repentaglio la sopravvivenza del piccolo ecosistema che Hatidze con la sua fatica contribuisce a preservare.
Honeyland del duo di registi macedoni Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov è stato proiettato al Sundance Film Festival nel concorso World Cinema Documentary. Questo pezzo di cinema verità visivamente accattivante rappresenta un viaggio straordinario da un livello personale a un livello locale e poi globale, seguendo un apicoltore nella Macedonia rurale.
La spettacolare sequenza di apertura vede la protagonista, Hatidze, una donna di 55 anni con una camicia gialla e con una sciarpa in testa, che scala il lato ripido di una collina rocciosa per raggiungere una colonia di api situata in mezzo alle fessure. Senza guanti o reti, tira fuori il nido d'ape, cantando una canzone che sembra tenere le api tranquille.
Tornata nel suo villaggio deserto, nella sua povera casa senza acqua né elettricità, si prende cura di sua madre costretta a letto e mezza cieca. Va regolarmente nella capitale, Skopje, per vendere il suo miele al mercato (dove è universalmente elogiato da altri venditori e clienti), e ogni tanto ottiene qualcosa per se stessa, come la tintura dei capelli, o un ventilatore per sua madre.
Quella di Hatidze sembra essere una vita modesta ma idilliaca: è una donna che si accontenta della vita quotidiana, il sorriso raramente abbandona il suo viso bruciato dal sole. Ma le cose cambiano quando una famiglia nomade, appartenente alla stessa minoranza turca di Hatidze, si trasferisce lì vicino. Il patriarca Hussein, insieme a sua moglie, sette figli e una mandria di mucche, arriva a bordo di un camion con rimorchio. Il rumore che producono è assordante nel villaggio vuoto, e da quel momento in poi non fa che peggiorare.
Presto Hussein e la sua famiglia vanno in giro scatenando un putiferio, litigando e imprecando, e riuscendo a malapena a controllare il loro bestiame. Ma Hatidze li accoglie a braccia aperte e con il suo miglior brandy, giocando con i bambini particolarmente indisciplinati e facendo in modo che Hussein si interessi al miele – per lui, il prezzo di 16 euro al chilo sembra un buon affare. Quando Hussein si procura cassette di api e un compratore esigente dalla Bosnia, capiamo presto che non è un uomo che rispetterà la regola degli apicoltori di "prendere metà, lasciare metà". Senza la minima consapevolezza o preoccupazione di come trattare gli animali, e in una cieca fretta di fare soldi ad ogni costo, distrugge il delicato equilibrio ecologico come un toro in un negozio di porcellane, mettendo in pericolo le sue api e quelle di Hatidze.
Kotevska e Stefanov, con contributi inestimabili del montatore e produttore Atanas Georgiev, mostrano una notevole disciplina nel rendere questo film un vero pezzo di cinema verità. Sebbene abbiano trascorso una significativa quantità di tempo con i protagonisti, come dimostrato dall'accesso senza precedenti che hanno avuto presso di loro, anche nelle scene in cui vi sono discussioni accese e lotte fisiche all'interno della famiglia di Hussein, mantengono il loro approccio strettamente osservativo. Ciò significa che il pubblico deve riempire molte lacune, ma gli viene anche lasciato spazio per percepire una trama più profonda e più importante: dall'angolazione personale di Hatidze, su come un'improvvisa corsa al profitto influenzi l'equilibrio ecologico locale, sul significato delle api per l'ambiente globale.
La fotografia di Fejmi Daut e Samir Ljuma è a dir poco spettacolare, sia quando filmano la natura in ampie inquadrature, sia quando saltano camera a spalla in mezzo ai bambini di Hussein mentre lottano per trattenere le mucche, oppure seduti a lume di candela nella casa di Hatidze.
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