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Il mio giardino persiano
di Maryam Moghaddam, Behtash Sanaeeha — Iran, Francia, Svezia, Germania, 2024, 97'
con Esmaeel Mehrabi, Lili Farhadpour, Mohammad Heidari
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Vedova da una trentina d'anni, la settantenne Mahin non ha mai voluto risposarsi e da quando la figlia è partita per l'estero vive sola a Teheran nella sua grande casa con giardino. Stanca della solitudine, dopo un pranzo con le amiche che l'ha spinta a cercare la compagnia di un uomo, Mahin avvicina l'anziano tassista Faramarz, ex soldato anche lui destinato a restare solo, e con gentilezza lo invita da lei per passare una serata insieme. L'incontro inaspettato si trasformerà per entrambi in qualcosa d'indimenticabile.
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Il film viene proposto anche in versione originale sottotitolata in italiano, gli orari sono consultabili nella relativa scheda:
https://ilcinemadelcarbone.it/film/il-mio-giardino-persiano-vo
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Questo film semplice anche nello stile (totali in prevalenza, primi piani, campo – controcampo classico nell’automobile, in ogni caso ambiente e personaggi mostrati in modo pacato e fluido, con movimenti di macchina molto parchi e sempre funzionali), che mostra la magia che la vita può avere se si riesce a cogliere i momenti e a viverli, a goderli nelle piccole cose, come la torta del titolo originale, un dolce alla crema di vaniglia e al profumo d’arancio, o come la menta che la protagonista raccoglie nel suo giardino perché ha appena scoperto che lui la adora; odori, sapori, luce; questo film semplice della semplicità della vita e sostanzialmente narrativo, “umano” nella raffigurazione di persone vere, autentiche, buone, e della loro intimità; questo film semplice, si diceva, in realtà è un film politico. Maryam Moghaddam ha lavorato con Panahi in Closed Curtain (2013) e poi, con il marito Behtash Sanaeeha, ha diretto Ballad of a White Cow (2021, in concorso, come questo, al Festival di Berlino), un film che mette in discussione la pena di morte (e, in generale, la situazione dell’Iran di oggi) e che ha causato una battaglia legale durata due anni. Questo film, che di esplicitamente politico ha solo una scena, quella in cui la protagonista difende una ragazza che sta per essere arrestata per un ciuffo di capelli fuori posto, cioè fuori dall’hijab (richiamando la vicenda tragica di Mahsa Amini, anche se le riprese del film sono iniziate prima), oltre al fatto che è Mahin, quindi una donna, sia pure anziana, a invitare da lei Faramarz, in realtà è rivoluzionario, come si diceva, per il fatto di “mettere in scena” la serenità e la gioia contro tutti gli ostacoli, compreso il controllo serrato della vicina che ha il marito che lavora per il governo. I registi, infatti, non hanno ottenuto il passaporto per recarsi alla Berlinale 74, dove gli attori, Lily Farhadpour e Esmail Mehrabi, hanno tenuto comunque bene in vista la loro fotografia.
Paola Brunetta, Cineforum
Premio della Giuria Ecumenica e Premio FIPRESCI alla Berlinale 2024.