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La collina dei papaveri

di Goro Miyazaki — Giappone, 2011, 91'

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Yokohama, 1963. Umi è una liceale che si occupa a tempo pieno della casa e della famiglia. Sua madre è una professoressa universitaria, emancipata e assente, mentre il padre si è perduto in mare e in suo onore Umi non manca mai un giorno di alzare le bandierine al vento, dalla casa sul porto, senza sapere che il rimorchiatore del padre di Shun risponde regolarmente al saluto. Umi (che significa mare) e Shun si incontrano durante la lotta intrapresa da un collettivo di studenti per contrastare lo smantellamento del Quartier Latin, un edificio storico che fa parte del complesso scolastico. Sono estranei ma presto si scopriranno uniti da un segreto più grande e più vecchio di loro.

Uno degli elementi più interessanti per chi studia storia e cultura del Giappone è spesso la scoperta di come e in che modo e misura, a partire dalla fine del 19° secolo, il Paese del Sol Levante abbia preso ad occidentalizzarsi, integrando elementi estranei alla propria cultura in maniera più o meno consumistica o culturale. Nel 1963, il Giappone era in fermento per la ricrescita economica, il riaffacciarsi sulla scena mondiale (complici le imminenti olimpiadi) nonché per la spinta intellettuale e culturale che dall'Europa stava arrivando anche in quella fetta di Estremo Oriente.
Un ragazzino dell'epoca viveva in una bizzarra quanto bene augurante epoca di transizione tra progresso e tradizione: e proprio di questo parla la nuova opera dello Studio Ghibli, fucina di capolavori indimenticabili, che con La collina dei papaveri inanella un nuovo successo.
Merito come sempre di Hayao Miyazaki, che ancora una volta sceglie di narrare uno slice of life tratto da un misconosciuto shojo manga di tanti anni fa, rielaborandolo insieme a Keiko Niwa, che già aveva lavorato in passato con lo studio e in particolare con Goro Miyazaki -figlio di Hayao e regista de La collina- per il sottovalutato I racconti di Terramare.
Yokohama, 1963. Su quella che è stata denominata, col tempo, “la collina dei papaveri” sorge la grande casa in cui abitano la sedicenne Umi e la sua numerosa famiglia. La ragazza è intelligente, rispettosa e operosa, e si occupa di gran parte delle faccende di casa aiutando la nonna e facendo spesso le veci della madre (all'estero per lavoro) per i fratellini. Le sue giornate scorrono cadenzate da routine funzionali, ma anche simboliche, come quella di issare ogni giorno delle bandiere augurali di buona navigazione secondo il codice nautico, come insegnatole dal padre, venuto a mancare diversi anni prima per un incidente marittimo.
Parte di queste routine verranno però sconvolte dall'incontro con Shun, un ragazzo estroverso e idealista che si batte, insieme ad altri compagni di scuola, per la salvaguardia di un edificio storico, il Quartier Latin, da loro adibito a quartier generale e sede delle attività di ricerca e studio dei club scolastici, oramai fatiscente e prossimo alla demolizione, per far posto ad un complesso edile moderno. L'incontro-scontro tra i due ragazzi toccherà le corde delle loro anime, suonando note diverse che li avvicineranno per poi porre loro un grave problema etico, che rischierà di rovinare il loro rapporto. Come è destinata ad evolversi l'amicizia tra Umi e Shun?
Nonostante i successi commerciali, il merchandising, l'avvicendarsi di nuove firme registiche in sostituzione di quelle “storiche” di Miyazaki e Takahata, lo Studio Ghibli non perde mai il suo tocco e riesce non solo a regalare al suo pubblico meraviglie grafiche, ma ad arrivare al cuore delle vicende narrate e, conseguentemente, a quello degli spettatori.
La collina dei papaveri non fa eccezione e Goro si mostra autore attento e scrupoloso, che non necessita di elementi fantastici o voli pindarici per emozionare i fan dello studio di Totoro.
Il film vibra letteralmente della vitalità degli anni narrati in esso, interessando sia sul piano della storia sentimentale tra i due protagonisti che da quello del contesto storico-sociale, rappresentato dal destino del Quartier Latin, simbolo di un Giappone tradizionalista ma sempre famelico di tutto ciò che di buono può giungere dalle culture estranee. Ritroviamo il provincialismo 'buono', le mansioni tradizionali, usi e costumi tipici ma, al contempo, anche la meravigliosa apertura culturale (soprattutto da parte dei giovani) simboleggiata ad esempio dal plurilinguismo (Umi viene da molti soprannominata 'Mer', mare, traduzione in francese del suo nome proprio).
Il tutto, naturalmente, narrato con tocco poetico e gusto per il quotidiano, come da tradizione Ghibli: e a questo concorrono perfettamente le ottime e calzanti musiche di Satoshi Takabe, già autore dello score di Terramare, e la vivida ma al contempo delicata fotografia di Atsushi Okui. (Marco Lucio Papaleo)

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