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La mafia uccide solo d'estate

di Pif — Italia, 2013, 90'
con Cristiana Capotondi, Pif, Ginevra Antona

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Crescere e amare nella Palermo della mafia. Un racconto lungo vent’anni attraverso gli occhi di un bambino, Arturo, che diventa grande in una città affascinante e terribile, ma dove c’è ancora spazio per la passione e il sorriso. La mafia uccide solo d’estate è, infatti, una storia d’amore che racconta i tentativi di Arturo di conquistare il cuore della sua amata Flora, una compagna di banco di cui si è invaghito alle elementari e che vede come una principessa. Sullo sfondo di questa tenera e divertente storia, scorrono e si susseguono gli episodi di cronaca legati alla mafia e accaduti in Sicilia tra gli anni ‘70 e ‘90.

Costruito come un romanzo di formazione, La mafia uccide solo d'estate trova la sua rilevanza in quello che racconta e la sua forza in come lo racconta e come rappresenta la mafia senza indulgenze celebrative. Infilato il terreno minato dell'universo criminale, Pif contempla il fascino sinistro dell'eroe del male, incarnato nel film da Giulio Andreotti e allargato a una lunga serie di 'persone perbene'e istituzionali fino alla bassa macelleria criminale, scartando i sentimenti retorici e i cliché che veicolano l'idea dell'immutabilità della Mafia. Nato in una regione incline al fatalismo come la Sicilia, Pif fa qualcosa di più che dimostrare la parabola discendente di Cosa Nostra, scegliendo come protagonista un ragazzino che coltiva sogni, speranze e illusioni e che imparerà a sottrarsi alle regole del gioco sentendosi e volendosi 'diverso' rispetto alla cultura diffusa di cui la criminalità organizzata è espressione. I padrini forti e arcaici visti sempre nella loro sacralità di potenti e cattivi vengono 'rovesciati' in una storia drammaturgicamente valida e capace di scendere dentro le cose. Cinema impegnato in prima linea, che arriva col sorriso fino in fondo, fino a sentire e a far sentire un dolore lancinante, La Mafia uccide solo d'estate capovolge il comico in tragico ricordandoci che ribellarsi è possibile. Il film porta a coscienza del protagonista e della sua città i mostri che stanno anche dentro chi li vorrebbe cacciare e che decide per questo di dichiarare guerra a una parte di sé. Lo sguardo attonito e incredulo di Arturo bambino sulle omertà e le brutalità del mondo degli adulti, che lo hanno sedotto (Giulio Andreotti), innescato (il giornalista esiliato di Claudio Gioè) e (ri)educato (i 'retroscena' del potere mafioso), si posa adesso consapevole sul figlio e sulle targhe di marmo. Targhe che 'medicano' le ferite di Palermo, targhe fissate sui suoi muri e nella sua memoria, targhe su cui Arturo legge i nomi dei caduti per la Mafia. Legge il loro impegno, le loro imprese, rompendo l'ordine delle cose (nostre) e avviando il processo di eredità di chi ha saputo far esistere la cultura come possibilità della comunità.

Marzia Gandolfi - mymovies.it