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Les Ogres

di Léa Fehner — Francia, 2016, 144'
con Adèle Haenel, Marc Barbé, François Fehner, Inès Fehner, Lola Dueñas
proiezione in francese con sottotitoli in italiano

guarda il trailer

Quelli della compagnia Davaï Théâtre - una turbolenta tribù di artisti nella quale il lavoro, i legami familiari, l'amore e l'amicizia si mescolano con veemenza, scavalcando i confini tra la finzione del palcoscenico e la vita reale - vanno di città in città, con una tenda in spalla e il loro spettacolo a tracolla. E mettono in scena Cechov. Nelle nostre vite portano il sogno e il disordine. Sono degli orchi, dei giganti e ne hanno mangiato di teatro e di chilometri... Ma l'imminente arrivo di un bambino e il ritorno di un ex amante faranno rivivere le ferite che si pensava fossero ormai dimenticate. E allora... che la festa cominci!

Arrivano con il loro carico di musica, cappelli, vestiti piumati, alcol, sensualità, violenza, commozione, tenerezza. Si istallano in un posto, parcheggiano le loro roulotte, montano il tendone, affiggono i manifesti e poi vanno in parata per annunciarsi: "Siamo qui, venite a vederci". All'indomani della notizia che lo spettacolo più grande del mondo, il Circo Barnum, chiuderà a maggio arriva nelle sale, in versione originale sottotitolata, Les Ogres (gli orchi) il film della regista francese Léa Fehner che racconta l'umanità degli artisti del teatro viaggiante. Lo spettatore viene immerso nel mondo colorato e folle della compagnia Davaï Théâtre: c'è il capocomico François, che in passato ha tradito la moglie Marion con l'artista spagnola Lola, la figlia Ines, che ha avuto tre figli ma è senza marito e si occupa della gestione economica della compagnia ma non si sente apprezzata dai suoi genitori, c'è la giovane Mona che aspetta un figlio dal non più giovane Déloyal e mentre attende il travaglio fuma, beve e continua ad andare in scena vestita da sposa con un pancione all'ottavo mese. E poi c'è chi ogni sera conquista una spettatrice dal pubblico, chi litiga per qualunque motivo, chi cerca di far ragionare gli altri ed è pronto al compromesso, chi invece è intransigente e non vuol chiedere scusa neppure se qualcuno si è spinto un po' oltre scandalizzando il pubblico e la comunità dove arrivano.
 

La regista (classe 1981) è cresciuta con il teatro viaggiante, la sua famiglia è quella che si vede nel film, romanzata certo ma fedele tanto che François, Marion e Ines sono il vero padre, madre e sorella di Léa Fehner ingaggiati quando è stato chiaro per lei che sarebbe stata la cosa più "naturale". I fatti non sono gli stessi, ma l'ambiente, le dinamiche, l'atmosfera è quella. Nel momento in cui la compagnia dei suoi genitori compiva vent'anni la regista, che si era allontanata da quel mondo scegliendo la macchina più "regolare" del cinema, ha deciso di tornarci per raccontarlo attraverso un film. D'altronde il grande schermo è un luogo ideale per raccontare gli artisti sulla strada e se la regista cita tra le sue fonti di ispirazione Festen e Milou a maggio per i critici francesi nel film c'è "un po' Renoir, un po' Pialat, un po' Cassavetes, un po' Kechiche, un po' Fellini e molto (Lea) Fehner".

Foto

'Les Ogres', tra teatro e circo gli artisti sono orchi

Federico Fellini sul set del film 'I clown'

Il circo di Fellini e l'elefantino Disney. Federico Fellini è il primo maestro che viene in mente se si parla di spettacoli viaggianti, tournée, circo. Per Fellini il circo è stato non solo una passione ma un'ossessione tanto che lo stesso Federico raccontava che bambino, si era allontanato per un po' con un circo di passaggio e di essere stato poi scoperto e riportato a casa. Ma si sa Fellini era "un gran bugiardo", sua madre aveva poi smentito la ricostruzione dei fatti ma che l'aneddoto fosse vero o meno non cambia il legame forte che univa il regista al mondo di trapezisti, clown, giocolieri che ha raccontato in due film (La strada e I clowns) ma che hanno abitato tutto il suo cinema. "Debbo fare una confessione imbarazzante - amava dire Fellini - Io sul circo non so niente; mi sento l'ultimo al mondo a poterne parlare con conoscenza di storia, di fatti, di notizie. E, d'altra parte, perché no? Anche se non so niente, io so tutto del circo, dei suoi ripostigli, delle luci, degli odori e anche degli aspetti della sua vita più segreta". D'altronde il modello per Fellini era Charlie Chaplin che alla figura del clown triste aveva consacrato l'esistenza artistica del suo alter ego Charlot e che con Luci della ribalta del 1952, ormai sessantenne, aveva offerto al pubblico una sorta di testamento spirituale, una meditazione sulla vita, la vecchiaia, il teatro che aveva riportato sul grande schermo quell'altro immenso clown che era Buster Keaton. Nello stesso anno, il circo americano veniva raccontato dal maestro Cecil B. Demille ne Il più grande spettacolo del mondo con Charlton Heston, James Stuart e Betty Hutton mentre nel '64 la dimensione corale tra dimensione pubblica e privata di clown, trapezisti e acrobati viene raccontata dal regista western Henry Hathaway con Il circo e la sua grande avventura con John Wayne, Rita Hayworth e la nostra Claudia Cardinale. E se Walt Disney aveva portato il circo sul grande schermo, con la sua poesia ma anche la sua durezza, attraverso la storia del piccolo elefante dalla grandi orecchie Dumbo, dieci anni prima un regista outsider - fino a quel momento cresciuto nella fucina dell'horror e che dopo quel titolo non firmerà più nulla - come Todd Browning aveva realizzato Freaks, inno alla mostruosità innocente contro la normalità colpevole, ritratto affettuoso e in bilico tra attrazione e repulsione verso quei "mostri da baraccone".
 

La Repubblica - Chiara Ugolini