Ludwig Mies Van der Rohe
di Nene Grignaffini, Francesco Conversano — Italia, 2019, 52'
Ludwig Mies Van der Rohe, famoso già nella Germania degli anni venti, lasciò il paese di origine nel 1938 in contrasto con il regime nazista, dopo aver diretto per otto anni il Bauhaus, fucina di arte, architettura e design, prima a Dessau e poi a Berlino. Approdato a Chicago, negli Stati Uniti, Mies Van derRohe realizza architetture dalle forme essenziali, che aspirano ad elevarsi ad arte, aldilà degli schemi dell’uso quotidiano.
I celebri concetti di Mies van der Rohe come “God is in the details” e l’ancor più celebre “Less is more” portano in un “altrove” e il giardino zen di Kyoto è un archetipo che definisce il concetto e la dialettica tra vuoto e pieno. Come dicono i Maestri della filosofia zen, è necessario procedere per sottrazione. Svuotare per accogliere. In questa lezione si può forse trovare il “misticismo” e l’idea dello “spazio assoluto” di Mies van der Rohe in una concezione di Architettura Moderna che allo stesso tempo tiene conto di qualcosa di antico e profondo.
Molta attenzione viene dedicata anche al Padiglione Tedesco per l’Esposizione Universale di Barcellona del 1929, considerato uno dei capolavori dell’architettura del Novecento. A seguire, l’esperienza di Mies van der Rohe al Bauhaus e, infine, il suo trasferimento negli Stati Uniti, osservando i grandi progetti come il Seagram Building di New York e le opere progettate e costruite a Chicago che ne “inventarono” lo skyline. La visione di Mies van der Rohe era una visione estremamente complessa e influenzò altre discipline artistiche. L’ascetismo delle forme e la creazione dello spazio assoluto, il “totaler raum” di Mies van der Rohe, lo spazio astratto e flessibile, senza riferimento di tempo e di luogo, con l’intenzione e l’obiettivo di eliminare la barriera tra un “fuori” e un “dentro”, diventarono la matrice e il modello per correnti e pensieri contemporanei che produssero seguaci e detrattori.
Ingresso gratuito.