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My skinny sister

di Sanna Lenken — Germania, Svezia, 2015, 95'
con Rebecka Josephson, Amy Deasismont, Henrik Norlén, Annika Hallin, Maxim Mehmet

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Non appena entra nell'eccitante mondo dell'adoloscenza, Stella, dodicenne paffutella e che non sopporta l'attività fisica, scopre con grande sconcerto che la sorella maggiore Katja nasconde un grave disturbo alimentare. I ruoli tra le due si capovolgono drasticamente: quella che da sempre era stata la figura da ammirare, bellissima ed elegante, il punto di riferimento per la piccola Stella, diventa la persona da aiutare e da sostenere a tutti i costi. La giovane protagonista dovrà tirar fuori tutto il suo coraggio per aiutare Katja.

Non capita spesso di imbattersi in un film capace di trattare con delicatezza e con un approccio fresco, sensibile e umano verso i personaggi, un tema complesso come quello dei disturbi alimentari. Da una parte perché è di per sé difficile scovare in giro per il mondo opere che se ne siano occupate seriamente, dall’altra perché è altrettanto difficile trovare registi e sceneggiatori in grado di trattare la “materia” in questione con il suddetto approccio. L’opera prima di Sanna Lenken ha nel DNA entrambe le caratteristiche che ai nostri occhi si trasformano in altrettanti meriti, che sono valsi alla pellicola, già vincitrice all’ultima edizione della Berlinale della Menzione Speciale della Giuria Internazionale e dell’Orso di Cristallo della Giuria Bambini come Miglior Film della sezione “Generation Kplus”, ben tre riconoscimenti al 16° Festival del Cinema Europeo di Lecce, tra cui il Premio del Pubblico.

Per il suo esordio nel lungometraggio, la regista svedese porta sul grande schermo un coinvolgente e commovente dramma generazionale sull’anoressia. Ma My Skinny Sister è prima di tutto un romanzo di formazione che affronta di petto una malattia ed un mondo dove è la Società a dettare i sogni appropriati. Sogni su come si dovrebbe apparire ed essere. Falsi sogni che generano angoscia esistenziale. Per raccontare la storia delle due sorelle Stella e Katja, la Lenken riparte da un’esperienza personale e dal plot di un cortometraggio dal titolo Eating Lunch, da lei stessa diretto nel 2013. Vita e Arte si intrecciano, diventando così il tessuto drammaturgico su e intorno al quale la Lenken costruisce la sceneggiatura prima e la sua trasposizione dopo. La qualità e la forza sprigionate dalla perfetta fusione simbiotica tra la scrittura e la regia, trova una spalla ideale nell’eccellente lavoro davanti alla macchina da presa delle due giovanissime protagoniste. Tale combinazione ben riuscita di fattori non può che generare un film di altissimo livello, capace di trasmettere alla platea una gamma di sentimenti, sensazioni ed emozioni contrastanti ed opposti. Di conseguenza, si passa dal sorriso alle lacrime nell’arco di pochissimi secondi. Il tutto dribblando abilmente le sabbie mobili della spettacolarizzazione del dolore, dei luoghi comuni sulla malattia e soprattutto della morale a buon mercato. In tal senso, la Lenken non ha mai paura di mostrare, ma allo stesso tempo non ha bisogno di indugiare nei passaggi più drammatici, così come non si tira indietro quando è giunto il momento di smorzare i toni e far divertire, ma sempre con un profondo e sincero rispetto nei confronti di una tematica che sembra conoscere molto bene. Il risultato è un concentrato di emozioni che arriva diritto al cuore e alla mente dello spettatore di turno, di quelli che restano attaccati alla retina e alle sinapsi anche dopo la fine dei titoli di coda.

Francesco Del Grosso, Quinlan.it