Poesia senza fine
di Alejandro Jodorowsky — Cile, Francia, 2016, 128'
con Brontis Jodorowsky, Adan Jodorowsky, Pamela Flores, Jeremias Herskovits, Kaori Ito
proiezione in spagnolo con sottotitoli in italiano
Santiago del Cile, al debutto degli anni Cinquanta. Alejandro Jodorowsky ha vent'anni e il desiderio di diventare poeta contro il parere del padre che lo sogna medico, ricco e borghese. Intrappolato nell'ennesima riunione di famiglia, recide (letteralmente) l'albero genealogico e ripara in una comune di artisti avanguardisti per coltivare finalmente il desiderio ardente. Ispirato dai più grandi maestri della moderna letteratura Latino Americana (Enrique Lihn, Stella Díaz, Nicanor Parra) e immerso nella sperimentazione poetica, Alejandro farà la sua rivoluzione culturale.
Il grande regista cileno, naturalizzato francese, Alejandro Jodorowsky con la realizzazione di Poesia senza fine afferma la propria vena surreale. La storia di un giovane Alejandro che sfugge i propositi di un padre che lo vuole negoziante invece che poeta viene infatti messa in scena con enorme consapevolezza e non scade nell’auto referenziale.
Il risultato è un’opera che per molti versi ricorda Knight of Cups di Terrence Malick per la modalità di narrazione e Youth di Paolo Sorrentino per la messa in scena. Un paio di elementi che discostano Jodorowsky dagli altri due geni del cinema contemporaneo: rispetto all’opera del primo (candidata a Berlino 2015) la scelta é stata quella di rinunciare ad una voce narrante, il cui effetto è stato quello di rendere lo scorrere delle due ore e un quarto meno pesante e più fluido; rispetto al secondo, invece, la rappresentazione è meno pretenziosa di stupire e più concentrata sul significato di ciò che vuole essere detto. Prendendo a riflessione quest’ultimo punto e volendo scendere più sui tecnicismi, l’assenza di figurazioni forti é sostituita da un frequente utilizzo di movimenti di camera verticali, oltre che a una fisicità più assente nelle opere degli altri due maestri.
Anche questo aspetto però non viene mai portato allo stremo, ma sapientemente manovrato: una Musa può prendere a pugni un artista, così come lo è un figlio che si ribella a un destino premeditato dal padre, ma solo in caso questo figlio abbia un’effettiva vocazione.
Il punto però più interessante, a parere di chi scrive, è l’evoluzione nell’utilizzo di personaggi mascherati, utilizzati inizialmente con più di qualche riferimento alla comicità underground inglese prima, francese poi (più di qualche riferimento a Charlie Chaplin), culminante nella tradizione circense. Mettere in scena parte di uno spettacolo circense, in particolare le gestualità dei pagliacci, aiuta nella comprensione della messa in scena di tutto il film. E fa riflettere.
Creare con pochi elementi presi in dosi minime pare essere la risposta di Jodorowsky a chi si interroghi sulla complessità di un cinema ricco di citazioni ma che sorprende per la semplicità della rappresentazione e la fluidità della narrazione
Daria Pomponio, Quinlan.it