Porto
di Gabe Klinger — Portogallo, USA, Francia, Polonia, 2016, 75'
con Anton Yelchin, Lucie Lucas, Françoise Lebrun, Paulo Calatré, Chantal Akerman
proiezione in inglese, francese, portoghese con sottotitoli in italiano
Nella città di Porto vivono due stranieri, l’americano Jake e la studentessa francese Mati. Il destino sembra giocare con loro, facendoli imbattere l’uno nell’altra in occasioni e luoghi diversi. È Jake a cogliere l’offerta suggerita da questi incontri casuali, prendendo coraggio e avvicinando Mati. Nonostante le premesse, non sarà l’inizio di una storia d’amore, ma porterà a un’unica notte di intimità il cui ricordo tornerà con insistenza nelle vite di questi due amanti occasionali, rivelando loro la potenza di un incontro.
Prodotto da Jim Jarmush, Porto di Gabe Klinger è diviso in tre capitoli: quello di Jake, quello di Mati e quello di Jake e Mati. Il punto di vista di lui, il punto di vista di lei, lui e lei insieme nella notte dell’incontro vista per intero. L’errore semplice di fronte a questo film sarebbe quello di ragionare come se i capitoli fossero compartimenti stagni. Infatti qui il ricordo di Mati riprende e arricchisce quello di Jake; il film va avanti, seguiamo lui che ascolta lei e viceversa, scopriamo sempre qualcosa di più, sulle loro singole vite ma al contempo (e questo è più importante), qualcosa sull’incontro che si svela sempre più nei dettagli. Il ricordo di questo incontro s’incrocia poi al presente, che entrambi vivono separati l’uno dall’altro, perché quella notte è durata solo una notte e poco più. Per Jake il presente appare come una diapositiva del passato, grazie al quattro terzi e a una fotografia sgranata e rarefatta che si sposa meravigliosamente con l’atmosfera portoghese. Il ricordo del passato, invaso dalla luce del cafè e dai sorrisi della bella Mati, invece è chiaro e limpido. Quello è il vero presente di Jake che non l’ha mai scordata. E nel suo presente anche Mati ripensa a Jake, pur avendo scelto alla fine ciò dalla quale voleva scappare, ciò che l’aveva condotta a Jake. Tutto s’intreccia, ogni fatto e accadimento viene raccontato in una strana tessitura.
Il regista Gabe Klinger non racconta propriamente una storia d’amore, racconta più che altro la conturbante e perfida assenza di controllo sull’evento amoroso. Ci s’incontra e non c’è più un tempo vero e proprio, tutto si dilata e sebbene tutto vada esattamente come deve andare, non siamo certo noi a far si che questo accada. Sono all’opera forze misteriose. Ed è esattamente ciò che Jake dice a Mati “Io sapevo esattamente cosa avresti detto te, e sapevo esattamente cosa rispondere, e sentivo che nulla poteva andare male. E la cosa più assurda sai qual è? Che è come se non avessimo scelta.”
Questo è il punto, racchiuso nelle parole fuori campo di Jake, mentre con Mati, stesi sul letto si guardano silenziosi, totalmente immersi l’uno nell’altro. E anche se l’amore, è un’ottima analogia per tutto il resto, qui è proprio d’amore che si sta parlando. È vero che siamo sempre più o meno in balia degli eventi, ma quando ci si incontra c’è davvero qualcosa di inevitabile. Intervallato da immagini di Porto e con musiche che spaziano dal pianoforte jazz al cantato blues, questo piccolo film sembra quasi essere ambientato in un epoca lontana, ed è accompagnato da una costante malinconia di fondo, quella degli occhi di Jake ad esempio, disarmato dalla bellezza dirompente di Mati. Ma è la bellezza stessa del momento dell’incontro a trascinare con sé la malinconia che bagna ogni scena: questa malinconia è data dal momento stesso e dalle mille possibilità che si aprono da quel momento, su cui non si ha nessun controllo. Fra queste, certa fra tutte, è la fine del momento stesso. Sembra essere questo ciò su cui Porto vuole ragionare. Sulla bellezza, sulla tristezza e sulla felicità, sulla cieca crudeltà, sulla fine e sui molteplici inizi.
Alice Catucci, Sentieri Selvaggi