Sami blood
di Amanda Kernell — Svezia, 2017, 110'
con Lene Cecilia Sparrok, Mia Erika Sparrok
A quattordici anni Elle Marja è una ragazzina Sámi (lappone) e vive in una comunità di allevatori di renne. Esposta alla discriminazione degli anni Trenta e alla certificazione della razza per frequentare la scuola, inizia a sognare una vita diversa. Per realizzare questo desiderio, però, deve allontanarsi dalla sua famiglia e dalla cultura della sua gente e diventare un'altra.
Per gli “altri” sono soltanto dei rumorosi mandriani di renne. Nel mondo, genericamente e con qualche imprecisione sulle dislocazioni etnico-geografiche, li chiamano làpponi. I sámi si realizzano in popolazione adorabilmente rupestre, di tradizioni rigorose e chiuse, dai costumi magnifici.
Che qualcuno sopporta e qualcun altro, molti anni addietro, ha letteralmente schifato. Gli svedesi, per esempio, come racconta Sámi Blood , fulgida opera prima di Amanda Kernell, cineasta trentunenne di Umeå che ama il nord del suo Paese e, appunto, quella gente, tanto da dedicarvisi - a giudicare dalla riuscita del film - con autentica passione.
Sámi Blood è un film esemplare perchè riesce ad associare elementi e motivi di fascino diversi, dal semplice e pur profondo saggio etnoculturale alla favola d’impegno civile, alla ballata folk nei paraggi d’un popolo seduttivo e bellissimo, fedele a se stesso, conservativo e trasversale sull’intera linea del Grande Nord splendidamente ritratta nella fotografia di Sophia Olsson e Petrus Sjövik.
La regista, di madre svedese e padre sámi, galleggia da sempre su due culture e in fondo questa storia è anche la sua. Se non nella traiettoria della protagonista, sicuramente nella sua sospensione, nel suo stare al qua e a di là di una no man’s land invisibile ma molto più netta di qualsiasi barriera materiale.
Temi e problematiche che questo originalissimo e intenso spartito cinematografico – che ha giustamente spopolato ai principali festival internazionali - tratta con grazia, senza però sottrarre spessori ad una fervida energia emotiva e ad una partecipazione , a tratti commossa, ai casi della giovanissima transfuga che sa cantare lo yoik nella sua forma unica di vocalità tradizionale, vive un’appartenenza che diventa motivo stesso di contrapposizione e di conquista “altra”, coltiva una tenacia che le consente di materializzare un sogno.
Uno dei più bei film usciti negli ultimi mesi
Panorama