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Troppa grazia

di Gianni Zanasi — Italia, 2018, 110'
con Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Elio Germano, Giovanni Franzoni, Hadas Yaron, Carlotta Natoli

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Lucia, geometra pignola dalla vita privata sregolata, è coinvolta inconsapevolmente in un rilievo catastale non esattamente trasparente, quando la Madonna in persona le appare per ammonirla a fermare i lavori in corso e imporre agli “uomini” di costruire una Chiesa al posto del centro commerciale pianificato. Un incontro esilarante per il pubblico quanto sconvolgente per la protagonista, che si interroga sulla propria salute mentale mentre il suo mondo privato comincia a sgretolarsi, fra le incomprensioni col compagno e con una figlia adolescente che fatica a trovare il suo posto nel mondo, fra sbalzi d’umore e ribellioni.

La grazia è la “qualità naturale di tutto ciò che, per una sua intima bellezza, delicatezza, spontaneità, finezza, leggiadria, o per l’armonica fusione di tutte queste doti, impressiona gradevolmente i sensi e lo spirito” ed è anche, alla sua maniera un po’ scombinata e guizzante, la qualità maggiore del film di Gianni Zanasi.

Un film fortemente liberatorio, che muovendosi tra favola, realismo, magia e miscredenza solleva (come sempre nel cinema di Zanasi, del resto) una serie di questioni centrali nella contemporaneità in continua corsa contro se stessa. Questioni che molto poco, se non per nulla, hanno a che fare con la religione o con l’afflato spirituale, ma che invece scavano nei bisogni che più umanamente coinvolgono tutti noi. A cominciare dal bisogno di credere in qualcosa – partendo da se stessi – e dalla necessità di badare alle piccole bellezze che ci circondano e che ci possono far sopravvivere o imparare a vivere un po’ meglio. 

Poi, naturalmente, c'è la provincia tanto cara a Zanasi, con il lavoro che arriva a singhiozzo, il qualunquismo sugli immigrati, il paesaggio a cui nessuno fa caso; ma anche la speculazione, la corruzione, i compromessi, la speranza nel nuovo che avanza, e ancora le distorsioni da social, il caffè nel bar dei cinesi, la diffidenza verso la stranezza.

Si ride, e questa è una cosa buona; si ride anche molto, quando Lucia, una Alba Rohrwacher vestita di un abito comico che le calza perfettamente, e l‘inflessibile Madonna-rifugiata-mendicante con gli occhi verdi di HadasYaron se le danno di santa ragione. Si empatizza con dolcezza nei dialoghi concreti e sinceri tra Lucia e il suo compagno sfidanzato Arturo, al quale Elio Germano regala una barba folta e un mezzo codino da perfetto manovale di provincia, oltre che una personalità non banale recitata con apprezzabile garbo. Si sogna pure un po’, volendo farsi prendere dal côté più surreale senza soffermarsi troppo sul suo sfuggire qua e là.

Troppa grazia è un film che funziona e che solleva. Perché la commedia è un genere prezioso e necessario, e Zanasi sa condurla restando fedele a se stesso, alla sua ironia intelligente e scalpitante, alla sua inventiva imprecisa e vivace.

Troppa grazia sant’Antonio! E benedetta sia la grazia dinoccolata di Zanasi.

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