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Un re allo sbando

di Peter Brosens, Jessica Woodworth — Belgio, Paesi Bassi, Bulgaria, 2016, 94'
con Peter Van den Begin, Bruno Georis, Lucie Debay, Titus De Voogdt, Pieter van der Houwen

guarda il trailer

Mentre si trova in visita ufficiale a Istanbul, il re dei belgi Nicolas III è costretto a fare ritorno nel proprio paese in grande difficoltà. Una tempesta solare, però, ha provocato l'interruzione dello spazio aereo e delle telecomunicazioni. Con l'aiuto di un regista britannico e di una improbabile compagnia di cantanti folk bulgari, il re e il suo entourage riusciranno ad oltrepassare il confine turco e, nel tentativo di raggiungere il Belgio, intraprenderanno un'odissea attraverso i Balcani.

A partire da uno spunto nemmeno troppo fanta-politico, quello di una Vallonia che si dichiara indipendente dal Belgio fiammingo - un sovrano deve letteralmente scappare da una capitale straniera che non vorrebbe lasciarlo andare (motivi d'immagine e diplomatici) e affrontare una comica e assurda fuga attraverso i Balcani; una storia che, appunto, parla del nostro mondo, di un'Europa che ha perso il senso di sé stessa ed è lacerata dalle spinte nazionaliste, e di un uomo, un Re stanco e spento, disattivato dalle formalità del protocollo, che ritrova sé stesso e la sua libertà personale.

Nati documentaristi, Brosens e Woodworth scelgono per questo film di finzione la strada del mockumentary (tutto è raccontato attraverso l'occhio della videocamera del regista inglese che la Regina aveva assunto per un documentario istituzionale sul Re, Nicolas III) e della commedia strampalata, spolverando il tutto con un grottesco vagamente demenziale, trovando così una curiosa ma giusta distanza per divertire (prima di tutto, ma senza negarsi un pizzico di amarezza a fin di bene) e raccontare scena e retroscena dei suoi personaggi: oltre al Re - un bravissimo Peter Van den Begin, maschera tutt'altro che monocorde - ci sono il suo ligio addetto al protocollo, una giovane e agguerrita addetta stampa, un valletto personale e ovviamente il regista del documentario.
Tutti, alle prese con l'imprevedibile e con una fuga che li riporterà a contatto diretto con il vero cuore dell'Europa e del suo popolo (e anche del loro, di cuore), perderanno progressivamente maschere e abiti, avvicinandosi in maniera quasi pericolosa a un disvelamento completo di sé, per poi (sapere di dover) reindossare tutto ma con nuova consapevolezza.

Più di tutti, ovviamente il Re. L'unico, non a caso, a metterli letteralmente nudo per fare il bagno nel mezzo del Mediterraneo che stanno tentando di attraversare in maniera improvvisata e rocambolesca.
Perché è il protagonista del film, certo. Perché è lui il personaggio cui era destinato il più evidente e necessario arco di trasformazione. Perché era lui a dover riprendere in mano il controllo della sua vita: delle sue parole, come raccontato dal ricorrente e costante tentativo di scrivere un discorso che riunisca nuovamente il suo Stato e il suo popolo.
Ma anche perché, semplicemente, è il Re. L'uomo simbolo di un'istituzione considerata sorpassata e antimoderna, l'uomo che, proverbialmente, è solo al comando (ma privo oramai di potere e ruolo) e la cui solitudine esistenziale è stata esplorata così spesso da cinema e letteratura.

Si è perso il Re, viva il Re.

Federico Gironi, comingsoon.it