Visages Villages
di Agnès Varda, JR — Francia, 2017, 89'
con Agnès Varda, JR
proiezione in francese con sottotitoli in italiano
Ha ottantotto anni e fa film come se ne avesse ventotto. Non sono i film di una persona anziana ma l’opposto. Sono tonificanti, solo a guardarli ci si sente più giovani. Il suo ultimo, Visages Villages, è un altro documentario nomade e personalissimo realizzato nello spirito cinematografico umano e generoso di Les Glaneurs et la glaneuse (2000) e Les Plages d’Agnès (2008). Agnès Varda, nello splendore dei suoi anni d’oro, è diventata una maga umanista.
Qui fa squadra con JR, street photographer che deve la sua reputazione ai giganteschi graffiti urbani e potrebbe essere definito un equivalente gallico di Banksy. JR e Varda si sono incontrati nel 2015 riconoscendosi subito come spiriti affini malgrado le enormi differenze che li separano: lui è un hipster beffardo e sovranamente flemmatico di trentatré anni con l’immancabile cappellino e gli occhiali da sole, lei è una leggenda della nouvelle vague, caschetto di capelli bicolore e un volto che conserva la splendida gravità che l’ha sempre contraddistinta. Ma entrambi sono outsider dell’arte, interessati a esprimere visivamente la vita seguendo le proprie regole. “Il caso è sempre stato il mio migliore aiutante” dice Varda, e non sta scherzando. In questo film lascia praticamente tutto al caso.
Varda e JR, che collaborano alla regia, si mettono in viaggio con un unico liberatorio obiettivo: in ciascun luogo visitato JR creerà giganteschi ritratti in bianco e nero degli abitanti che andranno a ricoprire case, fienili, facciate di negozi, ogni superficie libera. Così facendo, doneranno grandezza a quelle persone. Non una grandezza da supereroi, ma una grandezza umana, da persone in carne e ossa quali sono.
[…] I due conoscono (e fotografano) operai, formaggiai, camionisti. È una ricognizione della Francia rurale, e le immagini che affiorano sono giocose, spettrali e belle e commoventi: Andy Warhol incrocia Walker Evans. […]
Visages Villages lancia un potente messaggio sul tipo di società che stiamo diventando, nella quale l’uno per cento non solo possiede troppo di tutto, ma accentra su di sé anche tutta l’attenzione. La nostra dipendenza dalla ricchezza e dalla celebrità ha iniziato a svuotare il valore della vita normale, e il film dà una sublime strigliata a questo atteggiamento.
Owen Gleiberman, “Variety”, 23 maggio 2017