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'71

di Yann Demange — Gran Bretagna , 2015, 99'
con Jack O'Connell, Sam Reid, Paul Anderson, Sean Harris, Richard Dormer.
proiezione in Inglese

guarda il trailer

La recluta Gary Hook viene inviata in Irlanda del Nord. La situazione sarebbe apparentemente semplice (i Protestanti 'amici' da una parte e i Cattolici 'nemici' dall'altra) se non fosse che all'interno dell'IRA ci sono due fazioni in lotta tra loro. L'accoglienza non è ovviamente delle migliori ma le cose si aggravano per il soldato quando scopre casualmente che alcuni ufficiali dell'esercito sono coinvolti nella fabbricazione di ordigni per gli attentati.

Belfast, 1971. Una data e un luogo ben precisi. Ma l’esordio al lungometraggio di Yann Demange si mostra, fin da subito, poco interessato alla ricostruzione manualistica degli eventi e molto più attento alla microstoria del protagonista, ovunque sia, ovunque vada.

Gary Hook (Jack O’Connell) è un soldato semplice, da poco reclutato e presto spedito sulla striscia di confine che divide le fazioni opposte della guerriglia irlandese. Durante una sommossa, Hook si perde in un inseguimento e diventa ostaggio e oggetto dell’interesse di tutti. 

Le inquadrature tagliano il cordone dalle coordinate delle grande storia e si allacciano alle cinture del protagonista, assediano non tanto le azioni dei corpi, ma i volumi degli sguardi, misurabili in metri quadrati di tensioni, sentimenti e paure. I nemici non hanno gli scudi e gli stemmi dei grandi soldati, ma gli occhi piccoli e le pelli giovani di bambini e ragazzi prestati al conflitto: contro i loro silenzi sbatte l’istinto di Hook, che non scorge avversari di idee e di lotte, bersagli da uccidere per “la divisa di un altro colore”, ma solo grandi o piccoli ostacoli alla sua sopravvivenza. 

Tra i cementi grigi e deteriorati dei palazzi, sotto cieli gialli e colori caldi, sfondi continui delle sagome degli uomini, Hook gira come uno spettro, avatar di un gioco comandato dall’alto.

La regia lo assedia fino al fondo delle sue ferite e delle sue domande irrisolte e, senza bisogno di inventare regine di cuori o re di denari, gioca la carta vincente di un ritmo sempre alto, forse ereditato dall’esperienza della serialità televisiva, e di un’empatia carica di senso. Asso pigliatutto un eccellente Jack O’Connell, che interiorizza l’eroismo e l’espressionismo di Unbroken e costruisce un personaggio meno trasparente e più intenso, ovunque sia, ovunque vada.

Dalla prima all’ultima mano, il film evita le mosse facili e gli infidi trucchetti delle narrazioni tradizionali, si muove con l’astuzia e l’onestà delle idee chiare, vince la scommessa con lo spettatore cauto e a fine serata si porta a casa la partita.

Giada Cipollone - Cineforum