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A bigger splash

di Luca Guadagnino — Italia, Francia, 2015, 120'
con Ralph Fiennes, Dakota Johnson, Matthias Schoenaerts, Tilda Swinton, Aurore Clément

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Una rockstar in convalescenza e il suo compagno consumano le loro giornate a bordo piscina o lungo le cale di Pantelleria. Marianne ha subito un intervento alle corde vocali, Paul è sopravvissuto al suicidio. Eccitati dal sale e accarezzati dal vento, Marianne e Paul ricevono la visita di Harry, ex iperbolico e logorroico che si accompagna a Penelope, figlia ventenne emersa dal passato. L'equilibrio e la 'riabilitazione' della coppia sono interrotti dall'uomo, deciso a riprendersi Marianne. Lo scirocco, vento anormalmente caldo, si alza sulle emozioni trattenute, riscaldando l'aria e il clima.

La piscina di Jacques Deray, 1969: balletto d’erotismo e divismo, giallo mediterraneo che sa di seduta autoanalitica ed eucarestia dell’icona (in pasto al pubblico Delon & Schneider, coppia dal 1958 al 1963). A Bigger Splash, anno 2015, ne è il rifacimento.

Un kammerspiel ("cinema da camera") in pieno sole, un’orgia di rancori che prevede solo due sintomi: sesso, delitto. Dei riferimenti citati da Guadagnino quello che è utile a comprendere meglio A Bigger Splash è One Plus One di Godard, fatto di sessioni di registrazione di Sympathy for the Devil e di una realtà in sommovimento, fuori dallo studio. Primo perché è un film-performance, questo, trionfo dell’arte d’attore in jam session che oscilla tra il gioco sull’icona e il rimando a mille altre, tra la febbre dell’assolo e il museo delle cere, macchina da presa che si lascia sedurre dai gesti, si perde sui corpi, si gode sorniona un immaginario scollato dal vero, tra pose da star e turismo da cartolina. Secondo perché, oltre le mura simboliche di questo mondo addicted e incestuoso, fuori dallo spettacolo eccessivo in cui Guadagnino s’esalta, c’è la Pantelleria tragica dei migranti, c’è un reale che lo sguardo edonista non sa inquadrare, non sa raccontare. Questione di privilegio di classe? Di distanza. Ed è un film su questa separazione, A Bigger Splash, gioia del cinema e sua crisi morale, piacere impiacentito e autocritica impietosa, dove il godimento pop lascia il posto alla farsa sciatta e rassegnata, alla necrosi sfatta del comico, all’etica dei nuovi mostri: al commissario di Guzzanti - che è un fan prima che un uomo di legge, ed è proprio questo il punto - il compito di porre la lapide sul rapporto tra reale e spettacolo.

La Giustizia s’inchina alla star. La tragedia scompare dietro quel che amiamo vedere. A Bigger Splash è un film sull’essere ciechi, oggi, nel mondo dell’immagine: un film dell’orrore.

Giulia Sangiorgio, FilmTv