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Il tocco del peccato

di Jia Zhangke — Cina/Giappone, 2013, 129'
con Zhao Tao, Jiang Wu, Wang Baoqiang, Lanshan Luo

guarda il trailer

Nella desertica provincia dello Shanxi (luogo natale di Jia Zhangke) un uomo noto per la sua opposizione alla corruzione, non resiste al senso di impotenza e, fucile in mano, decide di eliminare i problemi alla radice. In un centro rurale del sudovest, un lavoratore ritorna a casa dalla sua famiglia dopo diverso tempo ma non regge più ritmi e consuetudini di una vita sedentaria. In una città della Cina centrale una receptionist di una sauna cerca di cambiare vita. Infine nella città industriale Dongguan un ragazzo lavora come cameriere in uno dei molti bordelli locali travestiti da attività rispettabili.

Che magnifico film! La Cina di oggi. Quella che era, quella che è diventata e quella che prevedibilmente sarà. Inizio folgorante. Bastano tre minuti per capire che: 1) qui il regista sa il fatto suo (questo lo sapevamo, Jia ha vinto il Leone d’oro con “Still Life”, ha diretto “Platform” e tanti altri bei film…); 2) che il regista si sta orientando a fare cose cinematografiche che non aveva mai fatto (scene d’azione, sparatorie, accoltellamenti: e questa è una sorpresa); 3) che il racconto, anzi i racconti saranno la colonna portante di “A Touch of Sin”. Titolo rivelatore: nella Cina di Jia è arrivato il peccato, il male fatto e subito, ne basta un tocco, una briciolina per abbattere idoli, ricconi, politici, funzionari e comunisti consumistico-capitalisti che non è un ossimoro, sono veri.

Sentiamo subito, fin dalla magistrale apertura, che Jia sta cambiando il suo cinema: resterà fedele alle sue inquadrature pensierose ma adesso ne pensa anche di efficacemente vivaci. In più dissemina invenzioni di tutti i tipi: serpenti di tutti i colori, la statua di Mao e un quadro della Madonna nella stessa scena!, ragazze in divisa militare scollata e hot pants messe in bella vista per ricchi acquirenti, una Maserati inondata di sangue.

 Tema portante dei film di questo genere è la lotta dell’individuo contro l’oppressione. “A Touch of Sin” mi sembra allora che possa essere considerato l’erede di un capolavoro di King Hu, “A Touch of Zen”. Solo che stavolta non c’è lo zen ma il sin. L’individuo, gli oppressori li fa fuori senza pensare a nessun dopo. Voto ***** e lode

Bruno Fornara, Il Post