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In guerra

di Stéphane Brizé — Francia, 2018, 113'
con Vincent Lindon, Mélanie Rover, Jacques Borderie, David Rey

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Nonostante i sacrifici finanziari dei dipendenti e l’aumento dei profitti dell’ultimo anno, i dirigenti della Perrin Industries decidono improvvisamente di chiudere una fabbrica. I 1100 dipendenti, rappresentati dal loro portavoce Laurent Amédéo, decidono di opporsi a questa drastica decisione, pronti a qualsiasi cosa pur di non perdere il posto di lavoro.

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Il regista ci porta letteralmente in trincea: il lavoro come campo di battaglia, gli operai i soldati. Con un Vincent Lindon di bravura impossibile, in perfetta interazione con interpreti non professionisti al servizio di una sceneggiatura precisa che parla di rispetto dei patti.

È davvero un film di guerra il nuovo di Stéphane Brizé: il lavoro come campo di battaglia, gli operai come soldati che avanzano obiettivo dopo obiettivo verso la battaglia finale combattuta a suon di parole come colpi di fucile e decisioni istituzionali come bombe, con tanto di divisione nel fronte interno.

En guerre racconta della lotta sindacale di un gruppo di operai la cui fabbrica sta per essere chiusa e, dopo un lungo sciopero e una battaglia legale, vorrebbero solo poter parlare con l’amministratore delegato della compagnia.
E la voglia di appartenere all’immediato, Brizé la costruisce in primis attraverso delle scelte stilistiche apparentemente semplici e in realtà radicali, che guardano al documentario militante e soprattutto al giornalismo embedded, non a caso, che si fa nelle zone di guerre, in cui la macchina da presa è immersa nell’azione, impallata, deve cercare di coglierlo il mondo anziché ricostruirlo, quasi come fosse un reportage in diretta, appunto.
E in questo, il regista sembra anche raccontare della sconfitta di un certo cinema, della sua impossibilità (forse) di mettere in scena la realtà al contrario di tv e social media, in cui però la manipolazione è cosa comune.

Ma oltre i sottotesti e le complessità stilistiche, IN GUERRA è un film di impatto poderoso, dal ritmo martellante e dalla tensione inesausta, con pochissime distensioni e parentesi personali (perché anche il privato è lotta politica, in certi contesti) che non cerca appigli per piacere ma che emoziona e coinvolge con la giustezza di una posizione morale e ideologica chiara e giusta ma allo stesso tempo trattata con intelligenza anti-propagandistica.
E con un Vincent Lindon di bravura impossibile, inumana, per cui gli elogi e i premi sembrano ormai superflui.

Nuovo Cinema Locatelli