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Le città di pianura

di Francesco Sossai — Italia, Germania, 2025, 100'
con Filippo Scotti, Sergio Romano, Pierpaolo Capovilla, Roberto Citran, Andrea Pennacchi

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Carlobianchi e Doriano, due spiantati cinquantenni, hanno un’ossessione: andare a bere l’ultimo bicchiere. Una notte, vagando in macchina da un bar all’altro, si imbattono per caso in Giulio, un timido studente di architettura: l’incontro con questi due improbabili mentori trasformerà profondamente Giulio nel suo modo di vedere il mondo e l’amore, e di immaginare il futuro. Un road movie nella sterminata pianura veneta che viaggia alla velocità con cui si smaltisce una sbronza.

Le città di pianura è l'opera seconda del regista e sceneggiatore (qui con Adriano Candiago) Francesco Sossai: un road movie sbullonato con per improbabili protagonisti due cinquantenni che rimpiangono gli anni Novanta, in un Veneto che sta per essere attraversato (per meglio dire sventrato) dall'autostrada Lisbona-Treviso-Budapest, e in cui gli operai vengono sfruttati per tutta la vita e congedati con estrema ipocrisia.

Il film ha il ritmo lento e girovago di una ballata country, i cui protagonisti sono contrari a Google Maps e preferiscono disegnarsi il percorso sui foglietti di carta: ma per Giulio, ventenne contemporaneo, diventano personaggi mitologici che hanno capito tutto della vita. La Divina Provvidenza assiste il trio scombinato e lo porta a vivere un'avventura picaresca che non dimenticheranno.
Sergio Romano e Pierpaolo Capovilla sono perfetti nei ruoli di Carlobianchi e Doriano, e le loro facce "non da cinema" (ma di consumata esperienza teatrale il primo, musicale il secondo) reggono perfettamente anche i primissimi piani, mentre Filippo Scotti (Giulio) si conferma attore di rara profondità emotiva ed espressiva, capace di fare molto con pochissimo. La musica dei Krano asseconda il mood on the road come una canzone folk di Woody Guthrie.

Il film di Sossai sembra un "indie" americano anni Settanta, ma gli ambienti sono profondamente italiani, così come sono riconoscibilmente reali i due protagonisti che appartengono non al loro "territorio", ma proprio alla loro terra - quella "parola che nessuno usa più".
Le città di pianura descrive "un paesaggio immaginario che non esiste", si infila in un non-luogo che pare il Giappone, eppure riesce a raccontare un'Italia vera, lontana dai riflettori e dai set delle commedie mutuate dall'estero. Il film di Sossai trova una sua energia laconica che cresce lentamente e alla fine commuove, perché forse il segreto del mondo - o almeno di una vita alternativa a quella frenetica e arrivista di oggi - Dori e Carlobianchi l'hanno scoperto davvero.

Paola Casella, Mymovies