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Les amours imaginaires

di Xavier Dolan — Canada, 2010, 95'
con Xavier Dolan, Niels Schneider, Monia Chokri, Anne Dorval, Louis Garrel
proiezione in francese con sottotitoli in italiano

guarda il trailer

Francis e Marie sono ottimi amici. Durante una cena conoscono Nicolas, giovane ragazzo di campagna appena arrivato in città. Un appuntamento dopo l'altro, i due complici diventano preda di un'ossessione che sfocerà in un duello amoroso malsano e che minaccerà la loro amicizia che credevano indistruttibile.

Guardando questa sua seconda pellicola, quello che colpisce è la sicurezza con la quale Dolan conduce la sua macchina da presa. Riprendere vuol dire scegliere cosa mostrare e cosa celare, ma anche il modo in cui farlo. E lui è perfettamente a suo agio nel decidere. Ogni inquadratura sembra al suo posto: non c’è primo piano o panoramica che stoni. Le immagini in slow motion accompagnano lo svolgersi della trama senza intoppi, e la scelta dei soggetti di alcune scene mostra delle precise tendenze stilistiche (a questo proposito, come non stupirsi della pioggia di marshmallow sui riccioli d’oro di Nicolas!). È proprio questo che salta all’occhio: lo stile innegabile di Dolan. Ma forse è su questo che bisogna spendere una riflessione in più. Perché se è vero che Dolan ha stile, è altrettanto vero che non è del tutto il suo. Guardando le immagini di Les amours imaginaires, almeno due sono i collegamenti che spontaneamente si è portati a fare: la Nouvelle Vague e Tarantino. La prima, presente non solo foneticamente (la lingua francese degli interpreti), è chiaramente evocata dal triangolo amoroso che strizza l’occhio al più celebre rapporto a tre di Jules e Jim. Ma non solo: nella leggerezza esistenziale dei personaggi (una leggerezza comunque di facciata), nel taglio retro di alcune scene (in cui primeggiano gli abiti di Marie), nell’utilizzo a volte di un certo tipo di montaggio (quasi richiamando il jump-cut), sembra di poter scorgere le figure di Godard e compagni. Sempre retrò è la scelta della colonna musica, con il Bang Bang della versione di Dalida che si riallaccia a quella di Nancy Sinatra usata da Tarantino. Il regista americano è qui presente non solo per la scelta di canzoni d’epoca, ma anche per la concezione dell’inquadratura come fosse un’icona, una foto esaltata ed isolata nella sua figuralità.

Lucia Mancini, pointblank.it