10 dicembre 2024
Non dirmi che hai paura: la storia vera di Samia Yusuf Omar in un film dalle forti motivazioni
Forse ricordate anche voi questa ragazza, con la fascetta di spugna bianca in fronte, regalatale dal padre, che ha corso i 200 metri alle Olimpiadi di Pechino 2008. Il suo tempo, 32"16, record personale, è stato l'ultimo di tutte le batterie. Ma non è questa la cosa importante: ciò che conta davvero è cosa ha dovuto fare Samia per arrivare lì.
Ecco, il film di Yasemin Şamdereli racconta proprio questo: tutta la via di Samia prima di correre su quella pista rossa. Allenarsi non è stato facile in quanto somala e donna. Ma la parte più difficile, paradossalmente, è arrivata dopo essere stata alle Olimpiadi: avendo corso senza velo, si è messa contro molti connazionali. E, per continuare a inseguire il suo sogno e quindi partecipare ai Giochi Olimpici di Londra 2012, ha fatto una scelta radicale: scappare in Europa. Purtroppo, come successo a molte persone prima e dopo di lei, il suo sogno è stato interrotto bruscamente: Samia è morta 2 aprile 2012 nel Mar Mediterraneo, insieme ad altri migranti che cercavano di arrivare a Lampedusa.[...]
Lo stesso percorso che ha mostrato anche Matteo Garrone in Io capitano, ma che si è concluso in modo molto diverso. Una cosa che il film di Garrone e questo di Şamdereli hanno in comune è il cercare di dare dignità ai sogni dei loro protagonisti. Ormai quando sentiamo di persone morte in mare, nella grande maggioranza dei casi, per noi sono solo numeri. Non riconosciamo questi morti come esseri umani. Meno che mai come esseri umani con dei sogni. Eppure anche loro certamente li hanno avuti e se hanno rischiato la vita è stato proprio per cercare di avere un futuro migliore. Perché però i sogni fatti in un lato del mondo valgono di più rispetto a quelli delle persone che vivono da un'altra parte? [...]
Storie come quella di Samia devono essere raccontate: non soltanto perché era una ragazza con un sogno. Ma, come ribadisce con forza Deka Mohamed Osman, perché era una ragazza che non si è arresa. Nonostante avesse tanti motivi per farlo.
Valentina Ariete, Movieplayer
06 dicembre 2024
In volo col carbone!
Festa di tesseramento 2025
Sabato 14 dicembre a partire dalle 17.00
Programma
ore 17.00 - check-in associativo
ore 17.30 - L'AEREO PIU' PAZZO DEL MONDO di Zucker, Abrahams, Zucker
ore 19.30 - a bordo con gusto
ore 20.30 - disaster quiz
ore 21.15 - L'AEREO PIU' PAZZO DEL MONDO di Zucker, Abrahams, Zucker v.o. sott. it.
ore 23.00 - atterraggio in dolcezza
Dress code: è gradito il giubbotto di salvataggio; i trolley devono essere riposti sotto alle poltrone
Ingresso riservato alle socie e ai soci del cinema del carbone
Tessera 2025: socio ordinario 10 euro, sostenitore 20 euro (e più), under 26 gratuita
26 novembre 2024
Piccole cose come queste
Un cielo plumbeo. Le strade fredde. Una chiesa col campanile. Nella splendida fotografia di un piccolo centro irlandese si apre Small Things Like These di Tim Mielants, protagonista Cillian Murphy, il film che ha inaugurato la Berlinale 74 come primo titolo in concorso e arriva in sala dal 28 novembre 2024. Quadri fissi, sintetici, istantanee di un microcosmo. La storia è tratta dal romanzo capolavoro Piccole cose da nulla di Claire Keegan. [...]
Al contrario dell’altro film sul tema, Magdalene di Peter Mullan che fu Leone d’oro a Venezia 2002, qui il fulcro non è politico ma del tutto umano. Il racconto segue infatti la presa di coscienza di Bill, che da quell’immagine primaria – la ragazza che urla – torna indietro in flashback a quando lui stesso era bambino, aprendo un’altalena tra passato e presente, e prova a realizzare ciò che gli è realmente capitato, dunque chi è oggi. Il coperchio meteorologico si fa correlativo oggettivo della storia, come la cappa opprimente che rinchiude le ragazze nel silenzio collettivo. Il film inizia in un kitchen sink drama, cioè ricorda il docudrama britannico anni Sessanta, che veniva detto “dramma del lavello”: personaggi mediamente umili e proletari che affrontano le loro vite mentre servono la cena e lavano i piatti. Così la famiglia di Bill che, mentre si appresta alle festività, viene funestata dalla graduale epifania dell’uomo: il ricordo fa rima col presente finché Bill, durante un’altra consegna, incontra una ragazza tremante nel cortile e la accompagna dentro, facendo ingresso nel convento, violando lo spazio proibito. Per la prima volta “vede”, ossia intravede alcuni dettagli che si vorrebbero occulti. Di conseguenza nasce il problema: fare qualcosa o tacere su queste piccole cose da nulla? Il mondo intorno lo scoraggia, per prima la moglie, d’altronde è una famiglia cattolica e siamo pur sempre a Natale… E poi è troppo potente la chiesa per permettersi davvero di andare contro. Ma il potere, secondo Bill, è solo il potere che gli diamo. [...]
Il regista Tim Mielants, che viene soprattutto dalla serialità (Legion, Tales from the Loop), gira con piglio dolente e sfodera una maniacale cura dei dettagli. [...] Complice del risultato è la prova di Cillian Murphy, irlandese di Cork, in grado di reggere con l’accento “giusto” la complessa drammaturgia.
Emanuele Di Nicola, Nocturno
19 novembre 2024
Do Not Expect Too Much From the End of the World: una grande riflessione sul mondo di oggi
Do Not Expect Too Much From the End of the World di Radu Jude è un vero e proprio gioiello semplicemente imperdibile per ogni cinefilo che si rispetti; il regista rumeno – già vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 2021 con Sesso sfortunato o follie porno – è oggi uno dei nomi più significativi del cinema europeo contemporaneo.
Protagonista è Angela, una ragazza che attraversa Bucarest in auto per filmare il casting di un video commissionato da una multinazionale relativo al tema della sicurezza sul lavoro. Oberata di impegni e sottopagata, gira anche moltissimi video per i suoi profili social, utilizzando un filtro che la trasforma in un alter ego carico di rabbia e portatore di messaggi estremamente populisti.
Diviso in due parti (separate da un intermezzo di croci simboleggianti diverse vittime di incidenti automobilistici), Do Not Expect Too Much From the End of the World alterna nella sua prima sezione la storia di Angela, rappresentata da un bianco e nero sporco e di estremo realismo, con le immagini di un film realizzato nel 1982, dal titolo Angela merge mai departe, valorizzato da colori sgargianti e dalla pellicola in 35mm.
Attraverso una struttura simile a quella del suo lungometraggio precedente, Jude dà vita a uno spietato spaccato sulla società contemporanea, mettendo a confronto la Romania di oggi con quella ai tempi della dittatura di Ceaușescu. Il mondo di oggi è rappresentato in maniera quasi fantascientifica, attraverso un’estetica e una sperimentazione formale fortemente originali, con la finalità costante di rappresentare però la realtà: l’universo mediatico è mostrato come un luogo di ipocrisia e menzogne, caratterizzato da un bombardamento audiovisivo talmente aggressivo da trasformarsi in una simbolica Apocalisse dove a sopravvivere rimangono soltanto le immagini.
Si mescolano riferimenti alti (come Jean-Luc Godard) e bassi in questo lungometraggio tanto sarcastico quanto profondo, capace di regalare una delle esperienze audiovisive più intense dell’intera stagione. Barocco, esasperato e sovrabbondante: Do Not Expect Too Much From the End of the World è uno di quei film che non ci lasciano al termine dei titoli di coda.
Andrea Chimento, Il sole 24 ore
06 novembre 2024
Flow - Un mondo da salvare: il magistrale film animato di Gints Zilbalodis
Flow - Un mondo da salvare, opera seconda dell'eclettico artista lettone Gints Zilbalodis e del suo Dream Well Studio, è uno stupefacente miracolo di equilibrio, un passo avanti rispetto al già particolarissimo Away (2019), che Gints aveva realizzato letteralmente da solo. In una coproduzione indipendente con più fondi europei, Zilbalodis si dimostra capace di coordinare anche studi di animazione diversi intorno alla sua visione del racconto e dell'immagine, espandendo lo slancio del lavoro precedente, ma limandolo lì dove serviva. Per arrivare oltre.
Se il mutismo dell'umano protagonista di Away era alienante e totalmente onirico, gli animali di Flow non hanno per legge naturale il dono della parola: tutto l'impianto narrativo fa a meno di dialoghi, eppure per questa ragione risulta del tutto spontaneo. Bastano pochi minuti per essere risucchiati nella piccola, grande epopea del gatto protagonista, che a suo modo vorrebbe pure comunicare con i suoi compagni di viaggio, che però emettono suoni propri e differenti, da interpretare. Eppure bisogna trovare un punto di incontro, perché questi animali sono appunto proverbialmente "tutti sulla stessa barca".
E qui scatta l'intenzione didattica della favola di Esopo nel senso più pieno: Away abbracciava una cripticità tipica del panorama del videogioco indipendente più visionario e metaforico. Ogni "carattere" di Flow potrebbe invece tranquillamente rappresentare una personalità diversa in un racconto post-apocalittico più classico, con sopravvissuti umani: Zilbalodis e il cosceneggiatore Matīss Kaža alleggeriscono il discorso con qualche gag visiva, legata a comportamenti tipici di ciascun animale e perciò non forzata, né didascalica. Anzi, persino funzionale al discorso ecologico di fondo: la misteriosa catastrofe alla quale assistiamo è un problema per gli esseri umani, di fatto scomparsi, ma gli animali vanno avanti, con spirito di adattamento, come hanno sempre fatto. Flow è un racconto ottimista, ma la sua positività arriva solo se accetteremo di metterci alla prova come il resto del creato ha sempre fatto, quel giorno in cui vivremo una delle eventuali apocalissi che quotidianamente qualcuno ci prefigura. Magari pronti a rinunciare al nostro comodo ego: quando viene sorpreso dall'apocalisse, il gatto è chiaramente oggetto di culto da parte degli esseri umani, circondato in un cottage da opere d'arte che lo ritraggono. Dopo, è solo un animale come gli altri. Bagno d'umiltà... di fatto!
Flow però nemmeno perde un livello di lettura più sfuggente, filosofico e immaginifico, cerebrale. Al di là delle vicende spicciole raccontate, c'è sullo sfondo, nell'aria, qualcosa di "altro", di più grande e insondabile: il curioso e semplice gatto è sì meno ingenuo del cane, ma è anche sprovveduto di fronte alla superiorità dell'elusivo uccello timoniere, che pare avere un contatto mistico con il creato, conoscendo il senso della vita e della morte. Sembra un mentore protettivo, ma con uno scopo ultimo che come il nostro eroico micio dobbiamo accettare di non sapere e di non capire del tutto: già fare del nostro meglio per onorare almeno la vita concreta, la nostra necessità di sopravvivenza, è forse di per sé un miracolo. Il raggiungimento di questa consapevolezza è l'anima religiosa di Flow.
Domenico Misciagna, ComingSoon
29 ottobre 2024
L’amore secondo Kafka: la storia dello scrittore con Dora Diamant, per riscoprire il genio nel centesimo anniversario dalla scomparsa
Una storia vorace nella durata, boccheggiante, ma intensa e assoluta. Niente a che spartire con le precedenti relazioni rinchiuse tra le righe di lunghi scambi epistolari contraddistinti dall’ardente rassegnazione; solo consapevolezza di esserci, qui e ora, per forza. Legame così penetrante da spingere Kafka a trasferirsi a Berlino e a rompere i difficili legami familiari soprattutto con l’autoritario padre “avvolto dall’enigma di molti tiranni” e di fronte cui aveva conseguito “in cambio uno sconfinato senso di colpa”. Insieme vissero il suo ultimo anno di vita, tragico nell’epilogo, pieno di aspirazioni nello scorrere. Ed è questo lasso di tempo, dalla gravosa portata, ad essere preso in considerazione dai registi Kaufmann e Mass (sceneggiatori insieme a Michael Kumpfmuller, autore del libro da cui è tratto), i quali decidono di abbracciare l’aurea mortifera della biografia sapendo però renderla non patetica e penosa, anzi.
Tutto quello raccontato incarna invece la celebrazione dell’imprevedibile: la bellezza e la felicità possono prorompere all’improvviso anche quando serpeggia l’ineluttabile. Frammenti del quotidiano che contribuiscono a regalare un’immagine benevola ed inedita del letterato, celebre per essere il cantore della lacerazione, della solitudine senza memoria e di universi orrorifici popolati da antropomorfe figure.
Il passeggiare, lo scrivere di notte, l'amicizia fraterna con Max Brod, custode dell'intera produzione kafkiana (il quale per fortuna non assecondò la volontà di quest'ultimo di bruciare tutti i manoscritti), offrono la possibilità di scoprire un'anima in pace e consapevole che senza la morte non esisterebbe la vita. Storicamente attendibile e grazioso, il film [...] ha il pregio di stimolare la curiosità a conoscere Kafka, nel centesimo anniversario dalla scomparsa, e quando ciò avviene è sempre un buon segno.
Una storia vorace nella durata, boccheggiante, ma intensa e assoluta. Niente a che spartire con le precedenti relazioni rinchiuse tra le righe di lunghi scambi epistolari contraddistinti dall’ardente rassegnazione; solo consapevolezza di esserci, qui e ora, per forza. Legame così penetrante da spingere Kafka a trasferirsi a Berlino e a rompere i difficili legami familiari soprattutto con l’autoritario padre “avvolto dall’enigma di molti tiranni” e di fronte cui aveva conseguito “in cambio uno sconfinato senso di colpa”. Insieme vissero il suo ultimo anno di vita, tragico nell’epilogo, pieno di aspirazioni nello scorrere. Ed è questo lasso di tempo, dalla gravosa portata, ad essere preso in considerazione dai registi Kaufmann e Mass (sceneggiatori insieme a Michael Kumpfmuller, autore del libro da cui è tratto), i quali decidono di abbracciare l’aurea mortifera della biografia sapendo però renderla non patetica e penosa, anzi.
Tutto quello raccontato incarna invece la celebrazione dell’imprevedibile: la bellezza e la felicità possono prorompere all’improvviso anche quando serpeggia l’ineluttabile. Frammenti del quotidiano che contribuiscono a regalare un’immagine benevola ed inedita del letterato, celebre per essere il cantore della lacerazione, della solitudine senza memoria e di universi orrorifici popolati da antropomorfe figure.
Il passeggiare, lo scrivere di notte, l'amicizia fraterna con Max Brod, custode dell'intera produzione kafkiana (il quale per fortuna non assecondò la volontà di quest'ultimo di bruciare tutti i manoscritti), offrono la possibilità di scoprire un'anima in pace e consapevole che senza la morte non esisterebbe la vita. Storicamente attendibile e grazioso, il film ha però una linearità scolastica che lo rende poco incisivo. Dalla sua tuttavia ha il pregio di stimolare la curiosità a conoscere Kafka, nel centesimo anniversario dalla scomparsa, e quando ciò avviene è sempre un buon segno.
Una storia vorace nella durata, boccheggiante, ma intensa e assoluta. Niente a che spartire con le precedenti relazioni rinchiuse tra le righe di lunghi scambi epistolari contraddistinti dall’ardente rassegnazione; solo consapevolezza di esserci, qui e ora, per forza. Legame così penetrante da spingere Kafka a trasferirsi a Berlino e a rompere i difficili legami familiari soprattutto con l’autoritario padre “avvolto dall’enigma di molti tiranni” e di fronte cui aveva conseguito “in cambio uno sconfinato senso di colpa”. Insieme vissero il suo ultimo anno di vita, tragico nell’epilogo, pieno di aspirazioni nello scorrere. Ed è questo lasso di tempo, dalla gravosa portata, ad essere preso in considerazione dai registi Kaufmann e Mass (sceneggiatori insieme a Michael Kumpfmuller, autore del libro da cui è tratto), i quali decidono di abbracciare l’aurea mortifera della biografia sapendo però renderla non patetica e penosa, anzi.
Tutto quello raccontato incarna invece la celebrazione dell’imprevedibile: la bellezza e la felicità possono prorompere all’improvviso anche quando serpeggia l’ineluttabile. Frammenti del quotidiano che contribuiscono a regalare un’immagine benevola ed inedita del letterato, celebre per essere il cantore della lacerazione, della solitudine senza memoria e di universi orrorifici popolati da antropomorfe figure.
Il passeggiare, lo scrivere di notte, l'amicizia fraterna con Max Brod, custode dell'intera produzione kafkiana (il quale per fortuna non assecondò la volontà di quest'ultimo di bruciare tutti i manoscritti), offrono la possibilità di scoprire un'anima in pace e consapevole che senza la morte non esisterebbe la vita. Storicamente attendibile e grazioso, il film ha però una linearità scolastica che lo rende poco incisivo. Dalla sua tuttavia ha il pregio di stimolare la curiosità a conoscere Kafka, nel centesimo anniversario dalla scomparsa, e quando ciò avviene è sempre un buon segno.
Miriam Raccosta, Cinematografo
23 ottobre 2024
Juniper – Un bicchiere di Gin: un'opera prima in felice equilibro tra dramma e tono scanzonato
Dalle dichiarazioni del regista Matthew Saville, Juniper – Un bicchiere di Gin sarebbe basato dalle sue esperienze adolescenziali. Anche sua nonna alcolizzata, come Ruth, che non poteva assolutamente fare a meno del suo Gin, era una fotografa di guerra, vivendo una vita ricca di esperienze al limite, con un carattere fuori dai canoni e lontana dai cliché. Burbera, scorbutica e disincantata, ma di grande arguzia, sensibilità e fascino. L’autore non avrebbe inventato nulla nella caratterizzazione dei protagonisti, mettendoli comunque di fronte ad alcuni temi fondamentali dell’esistenza: la vita, la morte, l’amore, il dolore.
L’esordio alla regia del noto attore neozelandese sembrerebbe essere a volte un po’ frenato ed eccessivamente controllato. Invece, in realtà sa tenere a bada quell’esubero di sentimentalismo che avrebbe annacquato l’ebbrezza del racconto, capace di perdersi in paesaggi mozzafiato ed emozionanti dinamiche relazionali. Una parabola ben calibrata che dall’alba giunge al tramonto, o meglio, dal tramonto riparte dall’alba, sempre felicemente in equilibro tra dramma e il tono scanzonato. Nonostante si percorrano stereotipi narrativi e visivi ben evidenti, il sentiero tracciato da Sam e Ruth, coadiuvati dalla fedele ultracattolica infermiera Sarah (Edith Poor) e dal vulnerabile e ferito papà di lui, in fondo ci si lascia toccare ed affondare dalla profonda leggerezza della vicenda, sicuramente ben scritta e orchestrata.
Leonardo LArdieri, Sentieri Selvaggi
18 ottobre 2024
Cultura alle quattro e un quarto
Ritorna Cultura alle 16:15: un ricco programma di cinema, arte, musica e itinerari in città dedicato agli over 60, venti appuntamenti da novembre ad aprile, in cui la cultura diventa occasione per stare insieme e vivere la città, organizzati in collaborazione con numerose realtà culturali cittadine.
Da lunedì 21 ottobre sarà possibile acquistare gli abbonamenti alla rassegna, che prenderà il via giovedì 7 e venerdì 8 novembre.
Trovate tutte le info qui >>https://ilcinemadelcarbone.it/.../cultura-alle-quattro-e...
08 ottobre 2024
La storia di Souleymane: un film umanista emozionante, commovente ed edificante
Oltre al ritmo incalzante, alla dimensione molto fisica e molto empatica, con la macchina da presa incollata a un personaggio in continuo movimento, La storia di Souleymane riesce a trattare molto bene (la sceneggiatura è scritta dal regista e da Delphine Agut) tutte le sfaccettature della situazione psicologicamente provante dell'esule (dalle telefonate a casa su Facetime alla madre malata e alla sua ex riluttante a sposare un altro uomo), i dubbi (“Non so perché sono venuto in Francia”), l'istinto di sopravvivenza in un ambiente urbano dove tutto non è necessariamente ostile ma dove nulla è facile, e il confronto finale con le autorità che decidono sulla richiesta di asilo. È un'opera folgorante, toccante e affascinante, con una forza documentaria che Boris Lojkine trasforma in una fiction umanista che si muove a 100 km all'ora e che merita un plauso.
Fabien Lemercier, Cineuropa
27 settembre 2024
Cuori liberi: una passionale inchiesta animalista
Prodotto da LAV, LNDC (Lega Nazionale Difesa del Cane), We All Animals e altre associazioni, Cuori liberi è un reportage indipendente che sostiene le ragioni dei gruppi animalisti, denuncia le violenze delle forze dell'ordine, l'assenza di trasparenza da parte dell'ASL pavese, il paradosso tra la repressione del dissenso con la forza e la deroga alle norme previste per i proprietari di allevamenti, luoghi di sofferenza e morte per gli animali.
Ospite d'onore del film è la giornalista Giulia Innocenzi - animalista dichiarata e autrice, con Paolo D'Ambrosi, dell'assonante documentario Food for Profit - che in pochi mirati interventi individua i fatti salienti della vicenda (a monte, una sostanziale mancanza di un allevatore nell'applicare le norme di legge) e metodi e obiettivi della campagna per l'antispecismo. Accanto a lei, anche il presidente di LAV Gianluca Felicetti e la deputata Eleonora Evi, impegnati nella causa.
Mentre a Roberto Manelli dal regista Alessio Schiazza viene affidato il ruolo di protagonista e "capopopolo della resistenza", a lui si affiancano i fondatori di vari santuari sparsi sulla penisola (senza nessun dettaglio sul loro modello di autosostentamento economico), disposti a lottare "fino all'ultimo respiro" per la liberazione degli animali. Il termine "santuario" infatti afferma la sacralità di ogni forma di vita e in ogni caso la non inferiorità dell'animale all'umano e il suo diritto a un'esistenza dignitosa e non coatta.
Il tono del film, che alterna interviste a riprese amatoriali degli atti dimostrativi, è quello di un'emotività partecipe, un'enfasi sul lato sentimentale della relazione tra uomini e animali, con una costante nominazione dei secondi, ricordati individualmente anche con fotografie, durante una manifestazione tenuta a Roma, e il ricorso al termine "famiglia" che sancisce una indistinta continuità tra specie.
Si mutua lo stile giornalistico di programmi come Report (c'è anche la ripresa in diretta della telefonata di richiesta di intervista alla referente dell'ATS di Pavia), alternando grafiche informative e sovrapponendo didascalie pop alle immagini.
Film militante, manifesto corale, voce di una comunità che reclama giustizia e condanna l'industria di sfruttamento.
Raffaella Giancristofaro, Mymovies
In programmazione martedì 1° ottobre alle 21 e mercoledì 2 ottobre alle 18:30. Presenta il film Paola Lazzarini, presidente dell’associazione Mantova 4 Animals APS. Biglietto intero: 7 euro. Biglietto ridotto per under 26, soci cinema del carbone, soci LAV e LNDC Animal Protection: 5 euro.