05 aprile 2018
Charley Thompson
Dopo lo straordinario successo di Weekend e il trionfo mondiale di 45 anni, che ha portato Charlotte Rampling a un passo dall’Oscar, Andrew Haigh torna dietro la cinepresa con Charley Thompson , un intenso e appassionante road movie accolto con entusiasmo all’ultima Mostra di Venezia, dove il protagonista Charlie Plummer ha conquistato il Premio Mastroianni come attore rivelazione. Tratto dal romanzo La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin (edito in Italia da Mondadori), il film narra le vicende del giovane Charley, abbandonato dalla madre e cresciuto da un padre disattento e sempre nei guai. Sarà l’amicizia con un vecchio cavallo da corsa, Lean on Pete, a ridargli la speranza in un futuro migliore. Oltre a Charlie Plummer, il cast comprende due icone del cinema indipendente come Steve Buscemi e Chloë Sevigny.
30 marzo 2018
Il giovane Karl Marx
Gli eroi son tutti giovani e belli
Chissà se il giovane Karl Marx, quello “vero”, fu in qualche misura illuminato nella sua formazione teorica e politica dall’esperienza rivoluzionaria di Toussaint Louverture, l’eroe creolo che sconfisse le truppe napoleoniche e liberò Haiti dal giogo schiavista europeo. Louverture morì in prigione prima della vittoria della rivoluzione, e il suo compito venne portato a termine da Jean-Jacques Dessalines, che con il nome di Giacomo I tradì l’ideale della rivoluzione. Una storia destinata a ripetersi fin troppe volte nel corso della storia… Nel 2018 si festeggiano i due secoli dalla nascita del filosofo di Treviri e i 170 anni dalla pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista, firmato a quattro mani con Friedrich Engels; l’impressione è che agli occhi di molti la figura di Marx arrivi a queste celebrazioni stanca, perfino superata. Nell’epoca del liberismo sfrenato, quando le socialdemocrazie borghesi abbandonano al loro destino le classi proletarie e subalterne, con l’evolversi di una globalizzazione feroce che mette i deboli gli uni contro gli altri, Marx non può che essere posto su uno scranno – magari anche ideale: dopotutto il muro di Berlino è crollato e non c’è più bisogno di sventolarne l’effigie come uno spauracchio – e abbandonato alla polvere del tempo. Anche per questo motivo un titolo come Il giovane Karl Marx (Le jeune Karl Marx nell’originale francese che fu presentato alla Berlinale nel febbraio del 2017) giunge a proposito, svolgendo come si vedrà fra poco una peculiare funzione didattica, tra le altre cose. E non è affatto secondario notare come il film sia diretto da un regista haitiano. Raoul Peck, dopo aver diretto un memorabile Lumumba, leader del Movimento Nazionale Congolese di Liberazione che cercò attraverso le teorie marxiane di donare nuova vita democratica al Congo, affronta dunque direttamente la figura stessa di Marx. Ma in quel titolo, Il giovane Karl Marx, c’è il senso ultimo dell’operazione, e la sua idea vincente.
Già solo portare sullo schermo uno dei pensatori fondamentali della storia della filosofia rappresenta una rarità: tra il cinema e la televisione in pochi si sono cimentati con un’impresa simile – tra questi val la pena ricordare Nachrichten aus der ideologischen Antike – Marx/Eisenstein/Das Kapital di Alexander Kluge, uno dei più celebri sketch dei Monty Python, e il sovietico God kak zhizn’ di Grigorij Roshal – e in ogni caso hanno scelto la figura più riconoscibile di Marx, l’uomo anziano dalla folta barba e lo sguardo sornione. Peck ribalta completamente questo schema: i suoi Marx ed Engels non sono dotti cattedratici che sostengono una teoria di politica economica per certi versi astratta, bensì hanno le fattezze di due giovani scapestrati, inclini alla bevuta e alla risata coinvolgente, che vivono in pieno il proprio tempo e combattono le lotte per l’eguaglianza. Non sono neanche trentenni, e a loro volta devono fronteggiare un convitato di pietra socialista che è già stratificato. Così ne Il giovane Karl Marx lo spettatore non avvertito ha modo di ricevere una breve ma puntuale lezione di storia del socialismo e del comunismo: il giovane hegeliano e il figlio “pentito” di un industriale incontrano sul loro cammino il socialista borghese Pierre-Joseph Proudhon, il socialista utopico Wilhelm Weitling, l’editore dei Deutsch-Französische Jahrbücher Arnold Ruge, e il fondatore dell’anarchismo moderno Mikhail Bakunin. Per non parlare ovviamente dei leader del Bund der Gerechten, noto in Italia come Lega dei Giusti, progenitore – tra gli altri – del pensiero comunista moderno e compiuto.
Senza mai perdersi dietro didascalismi evidenti e senza far ricorso a una retorica che non sia strettamente necessaria allo sviluppo della narrazione – usando la semplificazione per arrivare alla massa, un disegno teorico non poi così dissimile da quello alla base del Manifesto del Partito Comunista -, Raoul Peck attraversa un lustro, quello che va dal 1843 ai moti rivoluzionari del 1848, determinante per l’evoluzione del pensiero di lotta operaia e di rivendicazione dei diritti del proletariato. Lo fa attingendo alla prassi del biopic, ma senza accettarne alcuni dei dogmi più fastidiosi, come il ricorso all’aneddotica per semplificare l’afflato teorico o la scelta di affidare ai suoi protagonisti frasi lapidarie e destinate a imprimersi nella mente. Al contrario, la fluidità del racconto si lega a un discorso mai banale sul concetto di lotta di classe; il passaggio dall’ecumenico “Tutti gli uomini sono fratelli” (motto della Lega dei Giusti) al celeberrimo “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”, acme di un intervento pubblico di Engels, è sviluppato da Peck attraverso un crescendo mai enfatico, ma che sottolinea il rivoluzionario smottamento di un sistema di pensiero che inizia finalmente a ragionare sulle classi e non su un generico riferimento agli esseri umani, e si apre all’internazionalismo. Quell’internazionalismo che è parte integrante del film, che vede uniti nello sforzo haitiani, francesi, tedeschi, belgi, inglesi: una dimostrazione di co-produzione che diventa cooperazione, e che permette alle tre lingue più “in lotta” per il predominio d’Europa – tedesco, francese e inglese – di sviluppare una dialettica unica, tra il forbito tedesco di Jenny, la moglie aristocratica e libertaria di Marx, e lo slang britannico/irlandese di Mary Burns, l’irriverente e “spiritosa” (stando alle parole proprio di Marx) compagna di vita di Engels.
Il fotografo e giornalista Peck organizza un biopic avvincente, che prende l’abbrivio dal massacro impunito degli ultimi tra gli ultimi per la sola colpa di aver raccolto – e quindi “rubato”, nell’accezione giuridica sempre dalla parte del padronato – rami secchi caduti dagli alberi e arriva fino agli albori di una rivoluzione destinata a fallire ma germe per future infinite rivoluzioni, perché come sentenzia il film sulle scritte finale, in riferimento a Il Capitale, si tratta di “un’opera aperta, incommensurabile, incompleta perché l’oggetto stesso della sua critica è in continuo movimento. Lì, su quel finale che lascia eternamente giovani Karl Marx e Friedrich Engels, Peck si permette una fuga in avanti nel tempo, donando alle trame sonore di Bob Dylan e di Like a Rolling Stone il resoconto di un secolo e mezzo di lotte contro l’oppressione del capitalismo, e di disfacimenti della società. Per ricordare che nulla muore, e finché lo stato delle cose sarà quello esistente non si potrà fare a meno della filosofia marxiana. Lo spettro si aggira ancora per l’Europa, e per il mondo. Anche se si fa di tutto per non vederlo.
Raffaele Meale, Quinlan.it
27 marzo 2018
ANTEPRIMA ITALIANA “CHARLEY THOMPSON”
Dopo lo straordinario successo di “Weekend” e il trionfo mondiale di “45 anni”, Andrew Haigh torna dietro la cinepresa con “Charley Thompson” un appassionante road movie accolto con entusiasmo all’ultima Mostra di Venezia, dove il protagonista Charlie Plummer ha conquistato il Premio Mastroianni come attore rivelazione.
Il giovane Charley Thompson sogna di avere una vita più stabile: una casa, non dover cambiare scuola in continuazione e farsi degli amici. Insomma, una vita normale. Ma vivendo con un padre single, Ray, operaio specializzato non solo nel suo lavoro ma anche nel cacciarsi nei guai, la normalità sembra un sogno.
Sentendosi più solo che mai, un giorno Charley decide che è arrivato il momento di prendere in mano la sua vita e cercarsi da sé un futuro migliore. Così, con il suo unico amico, un vecchio cavallo da corsa di nome Lean on Pete, si mette in viaggio ...
Giovedì 29 marzo, alle ore 21:15, sarà possibile vedere il film in anteprima italiana, la serata sarà introdotta da una delegazione del centro equestre LA LUNA NUOVA ASD.
23 marzo 2018
Kick&Alive + Tutti pazzi per lo swing
Corso Base di Lindy hop a cura di Micol Ferretti
Il lindy hop è la forma più autentica di ballo swing. Nato negli anni '20 nel cuore di Harlem, si è diffuso velocemente negli Stati Uniti e poi in Europa incontrando un enorme successo. Ballato indistintamente da bianchi e da neri e da appartenenti di diverse classi sociali, il lindy hop si è affermato tra le due guerre come fenomeno spontaneo di integrazione culturale.
Il docente:
Micol Ferretti vive a Girona e da sette anni balla Lindy Hop. Dal 2015 insegna a Sibiem, scuola di danza della capitale catalana. Ha frequentato fin dal primo anno diversi festival spagnoli ed europei. Nel 2014 ha fondato insieme a un gruppo di amici l'associazione Drunken Sailors, attraverso cui alimenta, con balli sociali, stage e feste, il mondo del lindy hop a Girona.
Lo accompagna Anaïs Calabuig Roldán.
Il corso:
Sabato 24 marzo dalle 15 alle 18
Domenica 25 marzo dalle 15 alle 18:45 (con 45 minuti di sessione di musica dal vivo a cura di Swing Tonic)
Domenica 25 marzo ore 19
Tutti pazzi per lo swing
di Susan Glatzer — Svezia, USA, 2017, 88'
proiezione in inglese con sottotitoli in italiano
Nato durante la Grande Depressione, lo Swing eleva lo spirito umano oltre le proprie circostanze: i ballerini possono muoversi a ritmo spinti dalla pura gioia e scomparire in qualcosa di più grande, qualcosa di abbagliante, in uno spazio senza un critico o un giudice o un analista.
Tutti pazzi per lo Swing dà al pubblico una visione intima della cultura del mondo dello Swing, mentre fa luce su molte questioni della società contemporanea americana
21 marzo 2018
Petit paysan
Da giovedì 22 marzo al cinema del carbone
Giovedì 22 marzo alle 21:15 la visione sarà preceduta da una degustazione di formaggi curata da Slow Food Mantova. Domenica 25 marzo alle 20:45 presenterà il film Alice Falchi di CIA-Mantova.
È di mucche che Hubert Charuel vuole parlare nel suo primo lungometraggio. Di fattorie e della simbiosi che si va a creare tra allevatori e animali. Una mandria e un’epidemia che il regista elabora assieme alle sue origini contadine, a cui va poi a dare forma attraverso l’opera Petit Paysan – Un eroe singolare. Una storia di perdita e di ciò che la parola fine può veramente significare per uomini e donne di campagna.
Pierre (Swann Arlaud) è un allevatore. Un buon allevatore. Ma, nonostante il suo svolgere con premura le mansioni che come tale gli spettano per preservare il proprio bestiame, quest’ultimo viene comunque afflitto da un morbo che si sta rivelando mortale già in diversi paesi. Una malattia, che dopo Olanda e Belgio, anche la Francia si ritrova ad affrontare. Ed è tentando di mantenere viva la propria attività che Pierre deciderà di non fare con nessuno parola delle sue mucche vittime del malanno. Un segreto assolutamente non facile da mantenere.
Pierre è il “principe delle mucche” eppure non riesce a mantenerle in vita. Un disagio evidente, dolore e preoccupazione trasparenti nel personaggio principale di Petit Paysan – Un eroe singolare, interpretato con l’ombra del timore dal francese Swann Arlaud. Un volto che è paura, sia del proprio stare nel mondo sia nel proprio essere nel lavoro. Perché chi è allevatore lo è anche quando torna a casa, chi è allevatore può esserlo soltanto in funzione della propria mandria. E se quella mandria muore anche l’allevatore è costretto a morire.
Il film di Hubert Charuel – vincitore di tre premi César per la migliore opera prima, migliore attore protagonista e migliore attrice non protagonista – torna alla terra come soltanto una persona nata su quel suolo avrebbe fatto. Quella veridicità nella sofferenza di un uomo di fattoria che, più di qualunque altro lavoratore, venendo privato della materia prima del proprio mestiere perde anche la propria identità, in balia di uno Stato che non sapendo guardare neanche ai grandi, è del tutto impossibilitato ad aiutare le comunità più ristrette.
Petit Paysan – Un eroe singolare
: un quadro tra realismo e finzione della vita dell’allevatore
È dal rischio di un’epidemia, da un male su larga scala che colpisce indifferentemente un numero maggiore o minore di soggetti, che Petit Paysan – Un eroe singolare parla del singolo, entrando nello specifico nelle problematiche di un proprietario il quale, tra rabbia e tristezza costante, non può continuare ad occultare ciò che di terribile affligge le sue creature. Avvalendosi della conoscenza sul campo del regista, il film si addentra nella campagna dove il volare delle mosche è continuo e riproposto in tale maniera anche davanti alla macchina da presa. Un rispecchiamento della quotidianità dell’allevatore che entra talmente nel dettaglio da portare alla pellicola un tratto documentaristico, che viene meno solo quando il regista prova a dirottare verso suggestioni da thriller la propria pellicola.
Un film sincero Petit Paysan – Un eroe singolare, che tra il realismo e la finzione crea una commistione dove è facile constatare le mansioni delle fattorie e il senso di amarezza che proviene dal suo protagonista Pierre e va riversandosi poi sugli altri personaggi. [...] Un quadro comunque leale verso la professione e l’unione che va legando nel contesto agreste umani e animali. Un’interconnessione e la desolazione successiva che ne può derivare al momento della scomparsa di una delle due parti.
Martina Barone, cinematographe.it
15 marzo 2018
Visages Villages
I francesi lo definirebbero un film jubilatoire, che mette allegria e gioia. Noi italiani possiamo aggiungere radioso, etereo, brioso, esultante. Perché Visages Villages, che la Cineteca di Bologna ha meritoriamente distribuito in Italia dopo gli applausi ricevuti a Cannes (e la nomination agli Oscar), non è solo un film, un bel film, ma anche una specie di esperienza totale, psicologica e mentale, capace di trasmetterti quella gioia e quell’allegria che animano il film e i loro due autori e interpreti, la regista Agnès Varda e il fotografo JR.
La trama è riassunta perfettamente nel titolo: volti e villaggi. Curiosi l’uno dell’altra, JR e Agnès Varda hanno deciso di mettersi in viaggio per la Francia e cercare persone e situazioni da riprendere e fotografare con la tecnica che ha reso celebre il fotografo franco-tunisino: riproduzioni ingigantite di uomini e donne da incollare sui muri. Una pratica che JR ha sperimentato in giro per il mondo, anche in Italia a Napoli sui marciapiedi della passeggiata a mare, ma che con gli interventi della Varda guadagna un più di senso, perché iscritto in una più coerente riflessione sul rapporto tra l’immagine e la sua fruizione, tra la persona e l’ambiente, tra l’arte e i luoghi dove può essere esposta. Oltre che un più di divertimento, visto che il senso più profondo del film va cercato proprio nel legame che unisce due persone così distanti e che le fa vicendevolmente reagire. Perché quello che è il «tradizionale» percorso dell’arte contemporanea, preoccupata di rompere i confini della fruizione «esponendo» le proprie opere dove non ti aspetti di vederle e coinvolgendo in maniera sempre più diretta il pubblico così da abbattere le barriere tra oggetto e fruitori, diventa in Visages Villages qualcosa di diverso e, appunto di, jubilatoire.
La differenza d’età tra i due sembra svanire – quando ha girato il film la regista Agnès Varda aveva ottantotto anni, il 30 maggio di quest’anno ne compirà novanta; JR ne aveva trentatré, ne ha festeggiati trentacinque a febbraio) – anzi chi ha più energie sembra proprio lei perché ha saputo mantenere la stessa curiosità e lo stesso entusiasmo che l’hanno guidata per tutta la sua vita da regista: «Il caso è sempre stato il migliore dei miei assistenti» spiega, a ribadire un’idea di cinema che è disposta a confrontarsi continuamente con la realtà e da quella ricevere stimoli e suggestioni. È l’esprit de liberté che i registi della Nouvelle Vague avevano teorizzato e messo in pratica e da cui lei, antesignana di quella rivoluzione, si era fatta guidare per i suoi film, La Pointe-Courte, Cléo dalle 5 alle 7, Les Creatures, Senza tetto né legge fino agli ultimi lavoro a cavallo tra documentario, finzione e riflessione.
E che qui si ritrova nella libertà con cui organizzano (o meglio: disorganizzano) il loro viaggio per la Francia: vanno in un villaggio di minatori vicino allo spopolamento, in una fabbrica che lavora il sale, in una cittadina del Sud e tra i resti di un bunker della Seconda Guerra Mondiale, a conoscere i lavoratori del porto di Le Havre e le loro moglie o su un treno merci. Senza una logica che non sia quella del caso e della curiosità, della voglia di incontrare persone nuove, di visitare la tomba di un amico (Henri Cartier-Bresson, commovente per semplicità) o di ritrovare luoghi del passato (come la Normandia dei primi lavori fotografici della Varda). Insieme a una bella dose di ironia, di leggerezza e di divertimento. A sorprendere, oltre la vitalità e la grazia di una regista che ha mantenuto lo spirito dei suoi vent’anni, è però la lezione di cinema che emerge ad ogni scena: Visages Villages non è un documentario, non sono fogli di diario, non è una finzione, è tutto questo e molto di più ancora perché ad ogni scena ti sembra di entrare in un film nuovo, a secondo di quello che il mondo che incontrano i due autori propone loro.
Così c’è tempo per parlare dei problemi di vista di lei e per visitare la nonna centenaria di lui, per ribadire l’egoismo di Jean-Luc Godard (la deviazione a Rolle, dove abita il regista, è commovente ed emozionante insieme) e ricordare l’amore per i gatti, in un trionfo di intelligenza appassionata, di divertimento e allegria. Che restituisce al cinema la sua forza di invenzione e di poesia.
Paolo Mereghetti
14 marzo 2018
Sub-ita. Sono o non sono razzista?
Un viaggio attraverso il cinema nell'Italia dei nuovi cittadini
L'Italia sta tornando ad essere un paese da 60 milioni di abitanti. La presenza nel nostro paese di donne e uomini provenienti da paesi stranieri ha invertito la forma demografica e pone, ormai da diversi anni, nuove questioni di cittadinanza a cui purtroppo si risponde in maniera frammentaria e discontinua. Contemporaneamente l'Italia è diventato un paese razzista e pieno di insofferenza. E' possibile uscire da uno stato di convivenza forzata e arrivare a conoscere la cultura dei nuovi italiani? Come invertire questa tendenza? Come trasformare il nostro paese in un paese accogliente e multietnico?
Nella settimana della Giornata Internazionale per l'Eliminazione della Discriminazione Razziale (21 Marzo), il cinema del carbone propone un cartone animato per i bambini - RICHARD - MISSIONE AFRICA, domenica 18 marzo alle 16:15, il cortometraggio vincitore del Premio MigrArti del Mibact - BABBO NATALE di Alessandro Valenti, mercoledì 21 marzo alle 19 - e un film per adulti - MILANO, VIA PADOVA, presentato in collegamento dai registi Antonio Rezza e Flavia Mastrella, venerdì 23 marzo alle 21:30 - per far luce sul tema della diversità e della sua percezione. Milano, via Padova verrà riproposto in due proiezioni, sabato 24 marzo alle 9 e alle 11 per gli studenti delle scuole.
Sub.ita è un progetto realizzato con il contributo del Comune di Mantova e realizzato grazie alla collaborazione tra Progetto Sprar Enea, Arci Mantova, Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni, il cinema del carbone e Teatro Magro. Tutte le proiezioni e gli eventi sono gratuiti.
13 marzo 2018
FAME di Abbruzzese e Milano inaugura CINEARTE 2018
Martedì 13 marzo alle 21:15 il regista Giacomo Abbruzzese presenta il documetario FAME: la storia del Festival omonimo, creato da Angelo Milano, che tra il 2008 e il 2012 ha reso la piccola cittadina pugliese di Grottaglie il centro del mondo per la streets art, frequentata da artisti del calibro di Blu, Momo, Conor Harrington, EricailCane, Escif e Vhils.
Fame è il primo appuntamento di Cinearte - Sguardi contemporanei, la più longeva rassegna del cinema del carbone, nata nel 2003 grazie alla collaborazione con l'Associazione degli Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani. L'edizione 2018 si sofferma suimovimenti artistici che hanno segnato e stanno segnando ancora la nostra storia, attraverso un'estetica che si fa grido, azione di protesta, scelta di rivoluzione.
08 marzo 2018
DIALOGHI DI TEATRO CONTEMPORANEO CON SCIMONE E SFRAMELI
Secondo appuntamento con i Dialoghi di teatro contemporaneo, l'appuntamento che porta a Mantova il meglio della drammaturgia italiana. Venerdì 9 marzo alle 21:15 il critico Nicola Arrigoni dialogherà con la Compagnia Scimone Sframeli in un incontro dal titolo L'ARTE DI DONARSI: i due attori Spiro Scimone e Francesco Sframeli riveleranno al pubblico dell'Oberdan i segreti del loro mestiere.
La Compagnia Scimone Sframeli nasce nel 1994 grazie alla collaborazione artistica tra Spiro Scimone e Francesco Sframeli. Nel 1994 i due attori mettono in scena l’opera prima Nunzio,scritta da Scimone (premio IDI "Autori Nuovi" e Medaglia d'oro IDI per la drammaturgia 1995), per la regia di Carlo Cecchi. Nel 1997 Scimone scrive Bar, interpretato insieme a Sframeli con la regia di Valerio Binasco (Premio UBU, come “Nuovo Autore” e “Nuovo Attore”). Nel 1999 i due attori interpretano La festa di Scimone (premio Candoni Arta terme per la nuova drammaturgia 1997) che, nel 2007, viene messa in scena dalla Comédie Francaise al Théâtre du Vieux-Colombier di Parigi e l’anno dopo viene inserita nel programma della Stagione Culturale della Presidenza Francese dell’Unione Europea. Nel 2003 la compagnia co-produce con il Festival d’Automne à Paris, il Kunsten Festival des Arts di Bruxelles, il Théâtre Garonne de Toulouse e le Orestiadi di Gibellina, lo spettacolo Il cortile di Scimone (Premio UBU 2004 “Nuovo testo italiano”), con la regia di Valerio Binasco. Nel 2009 i due attori interpretano lo spettacolo Pali (Premio Ubu 2009 “Nuovo testo italiano”) e nel 2012 debuttaGiù (Premio UBU 2012 “Miglior scenografia”), spettacoli entrambi scrittida Scimone, con la regia di Sframeli. Nel 2015 Scimone e Sframeli interpretano insieme a Gianluca Cesale e Giulia Weber lo spettacolo Amore (Premio UBU 2016 “Nuovo progetto drammaturgico “ e “Miglior scenografia”). Scimone e Sframeli hanno diretto e interpretato anche il film Due amici (tratto dall’opera teatrale Nunzio) vincitore del Leone d‘oro come “Miglior opera prima” alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2002.
01 marzo 2018
PIERRE BASTIEN - LIVE AL CINEMA DEL CARBONE
QUIET MOTORS
Musicista e compositore nato a Parigi nel 1953, Pierre Bastien è una figura non comune nel campo della sperimentazione sonora. Si ispira nella sua ricerca alla tradizione francese del Settecento - secolo in cui si iniziarono a realizzare automi capaci di riprodurre brevi melodie o di imitare il suono degli strumenti - e costruisce la sua prima “macchina musicale” nel 1977. Nella sua lunga carriera ha collaborato con numerose compagnie di danza, con il musicista Pascal Comelade, il video artista Pierrick Sorin, lo stilista Issey Miyake e il compositore britannico Robert Wyatt.
Dal 1987 Bastien si esibisce da solista con una sorta di orchestra dada i cui elementi sono apparati meccanici creati con pezzi del Meccano e motori di vecchi giradischi, in grado di rievocare il suono di strumenti tradizionali come il liuto cinese, il bendir marocchino, il saron giavanese, il koto giapponese e il sansa africano. Simile a un ensemble di sculture sonore in movimento, questa orchestra si è ampliata nel corso degli anni fino ad ottanta elementi. Nella sua ultima incarnazione, intitolata Silent Motors prima e da ultimo Quiet Motors, è arrivata a incorporare nei propri mirabili ingranaggi anche piccoli ventilatori, chiodi, sonagli e strisce di carta.
A rendere ancora più ipnotica la performance di Bastien contribuiscono le frasi di tromba che il francese suona dal vivo, adagiandole sui pattern ritmici creati dai suoi marchingegni, e le immagini dei meccanismi in azione proiettate su schermo, in un suggestivo gioco di ombre cinesi.
Venerdì 2 marzo alle 21:00, in collaborazione con Associazione 4'33", PIERRE BASTIEN porterà il suo spettacolo dal vivo al cinema del carbone.
Ingresso unico: 10 euro
Per info e prenotazioni: info@ilcinemadelcarbone.it 0376/369860