21 marzo 2024
Torna in sala QUARTO POTERE di Orson Welles
Un film rivoluzionario, di “straordinaria potenza visiva”, che rielabora e rifonda la narrazione per immagini, in particolare tramite inquadrature innovative e l’uso del piano sequenza. Il primo esempio di “cinema moderno”, senza lieto fine. Un “giallo metafisico”, per un critico d’eccezione come Jorge Luis Borges. Realizzato dal regista ad appena 25 anni, ha rappresentato una pietra miliare in praticamente ogni aspetto tra quelli che compongono l’opera cinematografica: dalle riprese aeree e dall'utilizzo della profondità di campo, alla trama, che si articola attraverso punti di vista, nessuno dei quali realmente rappresentativo della statura di Kane.
Non c’è dubbio che Quarto potere rappresenti uno dei capolavori assoluti della settima arte, eppure – a dispetto delle sue entusiastiche recensioni – non ebbe all’inizio (1941) il successo di pubblico che meritava. In Italia arrivò solo nel 1948 e addirittura, quasi venti anni dopo, dovette subire l’onta di essere tagliato di circa un quarto d’ora per essere riproposto nelle sale.
Domenica 24 alle 20:45 e lunedì 25 alle 21:00 Citizen Kane torna in versione originale sottotitolata, rispettosa della sua essenza e integrità: un film immortale, tuttora di grande attualità e impatto estetico ed emotivo, nonostante abbia abbondantemente superato gli 80 anni di età.
L’opera di Orson Welles, al di là della sua aura “classica”, appare dunque più che mai calata nella realtà odierna, centrata com’è sul tema del potere dei media sull’opinione pubblica, in un momento storico in cui più che mai si impone una riflessione sull’ingerenza e la pervasività dei mezzi di comunicazione, vecchi e nuovi, nella nostra società.
12 marzo 2024
Torna in sala 20 Days in Mariupol, Oscar per il miglior documentario
Il lavoro di Mstyslav Chernov, reporter di guerra per AP e premio Pulitzer proprio per il suo lavoro a Mariupol nelle prime ore dell’offensiva russa, non è solo un documentario ma un gesto morale. Il cinema al suo rango più nobile per un premio Oscar meritatissimo.
20 Days in Mariupol non solo non esiste indipendentemente dalla nostra partecipazione: non vuole. Nel testimoniare senza tema di censura quello che è accaduto nella città martire della guerra in Ucraina, indugiando sulla distruzione arbitraria di vite, di case, di normalità e infrastrutture, Chernov non veste mai i panni del freddo testimone ma entra in campo, si fa parte della tragedia, attirando l’obiettivo su di sé e, dunque, su di noi che ignavi guardiamo.
Così, l’orrore in flagranza colto da questo coraggioso videogiornalista – che si spinge sino a inquadrare il corpo esanime di un neonato ucciso dalle bombe – non è pornografia del dolore perché non è mai solo mostrato, esibito ma compenetrato, vissuto, accolto. È un lavoro che, mentre espone, ci espone, aggredendo il nostro bisogno di sicurezza, le comfort zone, l’anestetico meccanismo del distanziamento per immagini.
Gianluca Arnone, Cinematografo
08 marzo 2024
Food for profit: un pregevole atto d'accusa verso le istituzioni europee
Polesine, Italia: un allevamento intensivo di polli, per rispettare le indicazioni del produttore, deve consegnare soltanto degli esemplari perfetti da poter immettere sul mercato, e gli "scarti" vengono eliminati con pratiche violente. Regione di Berlino, Germania: un allevamento intensivo di mucche, visto l'affollamento dei capi e la scarsa pulizia degli ambienti, viene colpito dal proliferare della mastite (un'infezione e infiammazione della ghiandola mammaria), così il personale non medico somministra antibiotici agli animali malati. Murcia, Spagna: un allevamento intensivo di maiali sfrutta le poche risorse idriche del territorio e scarica in vasconi all'aperto i liquami di risulta, causando inquinamento del suolo e contaminazione della falda acquifera. Tutto vero, disturbante e inquietante. Solo che per alcuni politici, organi di controllo e istituzioni gli allevamenti intensivi non esistono.[...]
Dobbiamo produrre di più perché dobbiamo mangiare più carne, e per farlo dobbiamo sfruttare più suolo, contaminare più acqua, appestare più aria, somministrare più antibiotici, stipare più animali, violare più diritti. Ma davvero dobbiamo?
Food for Profit non solo mette la camera - nascosta e non - al centro di tutto questo, costringendo in qualche modo a guardare (che tu sia spettatore inconsapevole, attivista convinto, politico coinvolto), ma alla fine dei suoi '90 minuti fa una anche una precisa call for action: "Stop sussidi pubblici agli allevamenti intensivi".
Lugi Coluccio, Mymovies
06 marzo 2024
Un oceano di memorie distorte: Memory di Michel Franco
Rispetto all’incendiario Nuevo orden e al glaciale Sundown, siamo di fronte a un Michel Franco sorprendentemente dolce e centrato, che si affida alle ottime prove di Peter Sarsgaard e Jessica Chastain per raccontare la storia di due emarginati, resi tali rispettivamente da ciò che dimenticano e da ciò che non possono fare a meno di dimenticare. Il regista messicano leviga i suoi personaggi, soffermandosi sui loro tic, sui loro sguardi pieni di tristezza e sulle loro paure (quanto cinema e quanta amara realtà in quell’indugiare sulle routine di Sylvia per la sicurezza sua e della sua abitazione), lasciando che il muro di diffidenza venga superato con i giusti tempi.
Nel mentre scopriamo molto su entrambi, in particolare su due famiglie accomunate dal desiderio di lasciare gli scheletri nell’armadio. Quello che si prefigura come un thriller, con un lungo e inquietante pedinamento, si trasforma dunque in un dramma familiare, fatto di fratelli insensibili e inutilmente autoritari (Josh Charles), di sorelle troppo buone per dire di no e troppo ingenue per cogliere le verità più raggelanti (Merritt Wever) e di madri che scelgono la via peggiore per tenete tutto assieme, ovvero nascondere la polvere sotto il tappeto nella fallace speranza che non riemerga mai (Jessica Harper, indimenticabile Susy di Suspiria).
In un mondo intorno a loro fintamente in controllo, non possiamo quindi che innamorarci delle due schegge impazzite Saul e Sylvia, che guardano film insieme anche se lui non riesce più a seguirli e che si fanno forza a vicenda anche se riescono a malapena a badare a se stessi. [...]
È un cinema da difendere e proteggere quello di Memory, proprio come i suoi protagonisti. Un cinema fatto di spazi angusti e di personalità che cercano invece faticosamente di farsi strada, in cui i tanti vuoti (di trama, di senso, di memoria) sono tessere di un puzzle impossibile da completare, come è impossibile trovare un verità chiara e incontrovertibile in un oceano di ricordi distorti e distrutti. «Come sei arrivato qui?», chiede Sylvia. «Non lo so», risponde Saul. «She said there is no reason and the truth is plain to see», cantano i Procul Harum. Forse stavolta può bastare.
Marco Paiano, LostInCinema
29 febbraio 2024
16 millimetri alla rivoluzione: l'eredità del PCI e il cinema militante
16 millimetri alla rivoluzione nasce da due incontri che per il regista sono stati fondamentali: quello con l'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e quello con Luciana Castellina, giornalista, scrittrice, politica, europarlamentare e fondatrice del Il Manifesto.
Inizialmente 16 mm alla rivoluzione doveva essere un documentario dedicato al PCI: alla sua storia, alla sua forza, ai suoi membri. Sarebbe stato un film collettivo e Piperno e Luciana Castellina ne avrebbero dovuto firmare un segmento. Il segmento pian piano è diventato un lungometraggio, attraversato dall’entusiasmo e dalla meraviglia dello stesso Giovanni Piperno di fronte alle immagini di opere di Citto Maselli, Ettore Scola, Bernardo Bertolucci, Gillo Pontecorvo, Ugo Gregoretti e tanti altri. E anche se il film è attraversato dai ricordi di Luciana Castellina, è diventato qualcosa di diverso dal classico reportage con intervista.
Versione dopo versione, il film si spogliava di ogni tentativo di narrazione biografica o storica, peraltro mai veramente perseguita, per lasciare il passo ad una costruzione affettiva, forse anche incerta, in un certo modo anche sinfonica, fatta di film, di storie di cinema e di cineasti, di amore per le immagini e di passione per il racconto del reale attraverso la macchina da presa
16 millimetri alla rivoluzioneè dunque un viaggio nella nostra storia politica e anche la testimonianza “di un cinema libero, sperimentale, dal basso, empatico”.
Carola Proto, ComingSoon
28 febbraio 2024
Aperte le prevendite per i laboratori del carbone dei piccoli
Data la grandissima richiesta, abbiamo deciso di raddoppiare l'appuntamento con lo chef Gianfranco Allari: il laboratorio Piccoli Chef avrà due turni, alle 15:15 e alle 16:45. I posti per questo e per i rimanenti laboratori sono acquistabili da stamani in prevendita web: https://www.webtic.it/index.htm#/home?action=loadLocal&localId=5557
20 febbraio 2024
Appuntamento a Land’s End: un commovente viaggio attraverso la Gran Bretagna
Il regista inglese Gillies MacKinnon, già vincitore del Festival di Berlino nel 2003 per Pure, con Appuntamento a Land’s End e grazie all’interpretazione di Timothy Spall compone una meditazione sul senso della vita, degli affetti e sull’importanza di onorare le promesse fatte alle persone care in un viaggio che attraversa la Gran Bretagna dalla Scozia alla Cornovaglia.
Sul finire degli anni ’40 in Inghilterra, in un posto chiamato Land’s End, nella penisola di Penwith, due giovani, Tom e Mary, si innamorano, si sposano, hanno un bambino. Sono felici, ma qualcosa di grave accade e Tom decide di trasferirsi lontano con Mary a nord, molto a nord, a John o’ Groats in Scozia. Molti anni dopo Tom è un uomo anziano e solo, ma sa di avere ancora qualcosa di molto importante da fare. Deve tornare a Land’s End e vuole fare questo viaggio di ritorno esattamente come fece quello di andata decenni prima: solo prendendo una serie di bus.
Quella di Tom e Mary è una piccola storia, eppure il viaggio di lui da un capo all’altro della Gran Bretagna con una semplice, ma preziosa valigetta diventa un racconto epico, simbolico, intimo e universale. Non a caso il titolo originale del film è The Last Bus e lascia intendere il senso di questo ultimo viaggio, mentre quello italiano, Appuntamento a Land’s End, richiama quel momento finale imprescindibile della vita a cui il nostro protagonista intende arrivare puntuale e preparato. Avanti e indietro nel tempo, nei ricordi, tra passato e presente, Tom ripercorre la strada che tanti anni prima lo avevano portato lontano dal luogo in cui lui e Mary erano stati più felici al mondo, raccogliendo, lungo quelle centinaia di miglia passando da un bus all’altro, quanto di più prezioso c’è stato nella sua vita. Come a voler rimettere insieme ciò che più conta nell’esistenza di un essere umano, Tom si prepara all’ultimo vero grande viaggio finale e il mondo intorno a lui piano piano si accorge che la sua piccola storia comune in realtà non ha nulla di semplice.
Timothy Spall interpreta Tom con straordinario talento, il suo volto, così naturalmente corrucciato che si apre improvvisamente a sguardi intensi ed espressivi, e il suo incedere affaticato, incerto, ma tenace incarnano anche fisicamente il senso del viaggio folle ed emozionante del protagonista. Intorno a lui si dispiegano paesaggi naturali e umani a volte straordinari a volte miseri e fatiscenti, in un altro realistico contrasto che simbolicamente ricorda il cammino stesso della vita. Al fianco di Spall è degna di nota anche la presenza di Phyllis Logan, conosciuta per aver interpretato la signorina Hughes, indimenticabile governante delle 6 stagioni di Downton Abbey, nei panni di Mary.
Vania Amitrano, Ciak
18 febbraio 2024
i laboratori del carbone dei piccoli al via!
Mentre si avvia a chiudere ai tempi supplementari la rassegna di film della domenica pomeriggio per bambini e famiglie, ecco che il carbone dei piccoli rilancia con una doppia programmazione di attività laboratoriali all’Oberdan e - per la prima volta - al Centro Famiglie Insieme di Valletta Valsecchi.
L’ormai tradizionale ciclo di laboratori con merenda parte già sabato 24 febbraio con Giovani clown per grandi avventure, un workshop per apprendere la giocosa arte della clownerie tenuto da Manuela Ara, attrice e formatrice teatrale. Tenendo fede alla sua vocazione multiesperienziale, il carbone dei piccoli lab porterà i suoi partecipanti a improvvisarsi piccoli chef con Gianfranco Allari (sabato 23 marzo), creature marine o d’alta quota grazie a Essere animale condotto da Delfina Stella (6 aprile), per arrivare a creare un piccolo e antico film d’animazione grazie alle meraviglie del precinema spiegate da Pietro Grandi (20 aprile).
Un corso intensivo di tecniche e trucchi del cinema è quello che il cinema del carbone proporrà in tre sabati di marzo al Centro Famiglie Insieme. Sabato 2 marzo (Un viaggio nella luna) Rosanna Lama inizierà bambini e bambini alla cut-out e alla collage animation, ovvero al cinema fatto con carta, forbici e colla. Grazie ai due laboratori tenuti da Avisco, i piccoli aspiranti cineasti scopriranno invece le immense potenzialità della tecnica del green screen (Effetti molto speciali - 9 marzo) e dell’animazione in stop motion applicata all’uso della plastilina (Telepongo - 16 marzo).
Tutti i laboratori avranno inizio alle 16.15. Per le attività previste all’Oberdan il costo di iscrizione è di 5 euro; i laboratori al Centro Famiglie Insieme sono a ingresso libero. In entrambi i casi è richiesta la prenotazione attraverso il form online disponibile alla pagina della rassegna.
I laboratori del carbone dei piccoli rientrano nel progetto Welfare cinema sostenuto dal Comune di Mantova. La rassegna all'Oberdan è realizzata anche grazie al contributo di Coop Alleanza 3.0 e di Levoni.
13 febbraio 2024
Un melodramma al tempo raffinato e sguaiato: La natura dell'amore di Monia Chokri
In passato attrice per Xavier Dolan (in Gli amori immaginari e Laurence Anyways), nei lavori da regista Chokri, québécoise anche lei, ha scelto uno stile simile a quello dell'amico e collega: un cinema dallo stile formalista ed esibito, in cui immagini curate al limite dell'estetizzante riproducono la superficialità delle trame e i toni tra l'eccessivo e il grottesco.
La natura dell'amore è un melodramma, e come tale parla soprattutto in termini visivi, affidando alla caratterizzazione dei personaggi - gli abiti, l'ambiente in cui si muovono, le parole che usano, i gesti che compiono, anche le urla che emettono - il compito di esprimere le loro emozioni e i loro desideri.
Sophia (interpretata da Magalie Lépine Blondeau, un vulcano sul punto d'esplodere) è bella, elegante, composta, veste tailleur color beige, così come suo marito Xavier (Francis-William Rhéaume) indossa colori spenti e parole monotone (in una discussione arriva a sostenere che una vita tranquilla e senza sesso è preferibile a una ansiosa). L'altro vertice del triangolo, che in breve tempo diventerà un semplice gioco a due, è il rude Sylvain (Pierre-Yves Cardinal, che aveva un simile ruolo da oggetto del desiderio in Tom à la ferme di Dolan), definito invece da un look da hipster anni Duemila, barba folta, camicia da boscaiolo, cappello da baseball, scarponi e bicipiti gonfi... Tre maschere, dunque, tre stereotipi che affermano al primo sguardo frustrazione sessuale, assopimento e irruenza. Il film gioca con i modelli figurativi e narrativi che si diverte a squadernare, compresa ovviamente l'attrazione degli opposti che unisce Sophia e Sylvain, e con un tono tipicamente "dolaniano", cioè sguaiato e liberatorio, prova a scardinare entro le regole di una tipica storia d'amore impedita.
Il punto di vista è quello di Sophia, la sua voglia di sesso, il suo godimento, la sua scelta distruttiva, come suggerisce il titolo originale del film, Simple comme Sylvain, semplice come Sylvain. Agli occhi della donna colta ma irretita da anni di frustrazione, l'uomo brutale e dai modi spicci appare il viatico semplice per un amore liberatorio, il contraltare di tutte le sovrastrutture della vita borghese. Se non fosse, ovviamente, che anche l'amore passionale ha le sue, di sovrastrutture, e pure i sempliciotti sanno mettere due pensieri in fila.
Roberto Manassero, Mymovies
07 febbraio 2024
Divertente, struggente, vitale, agrodolce, cinefilo, poetico: Foglie al vento di Aki Kaurismäki
Di lei si sa solo il nome, Ansa. Di lui solo il cognome, Holappa. Le loro vite sono meno che mediocri, a uno sguardo superficiale; la periferia di Helsinki è dura, respingente, per chi cerca e perde lavoro, per chi è sola e si tiene stretta l'unica fortuna di un monolocale ereditato dalla zia. Eppure, i due diventano protagonisti di una storia unica, raccontata con acutezza e ironia dal genio di Aki Kaurismäki, il regista finlandese che da decenni ci invita a guardare oltre le apparenze, rivelandoci che la verità non è quella che si vede, ma che si nasconde sotto la coltre delle consuetudini e delle convenienze sociali.
Così è per l'ultimo Foglie al vento, ideale prosecuzione della Trilogia del proletariato, tre film girati nei decenni, Ombre nel paradiso, Ariel e La fiammiferaia, ma, se possibile, ancora più riuscito, nel delineare sentimenti e sfumare personalità, proiettandoli in una dimensione poetica e profonda.
Un'umanità minore, emarginata, deprivata della propria identità sociale, che però - ed è questa la tesi del regista - conserva sentimenti, dignità, desiderio di riscatto, di amicizia, di amore. Quell'amore che i due intravvedono una sera, e inseguono caparbiamente, cadendo e rialzandosi, tra lunghi silenzi e battute fulminanti, attese e pentimenti.
Una storia comune, che viene trasformata dalla visionarietà dell'autore, nobilitata da una fotografia brillante, del maestro Timo Salminen, che si avvicina ai quadri di Hopper, e dall'espressività disincantata e apparentemente impassibile, sul filo del nichilismo, delle maschere nude dei suoi personaggi. Il tutto rappresentato in una Finlandia paranoica e alcolica, sintetizzata dalla figura di Holappa, che ha perso il proprio nome di battesimo e si consuma fra wodka, sigarette e rimpianti, senza perdere il proprio aplomb, ma che è pronto a riscattarsi e ricominciare da (meno di) zero.
Che Kaurismäki sapesse come farci sorridere e riflettere insieme era risaputo; che la tragicommedia fosse la dimensione a lui più congeniale, anche; ma la vera sorpresa del film sta nell'aver messo insieme una storia d'amore, con finale che rievoca, e non a caso, Tempi moderni, e un potente ritratto di una postmodernità industriale, nella quale occorre un'immensa forza d'animo per credere ancora nella solidarietà e nell'amore. Indimenticabile.
Laura Bianchi, Mescalina.it