17 ottobre 2023

Foto di famiglia: una toccante storia vera che ha conquistato oltre un milione di spettatori in Giappone

Diretto da Ryôta Nakano, già regista di Her Love Boils Bathwater, Foto di Famiglia si ispira alla divertente e toccante storia vera del fotografo Masashi Asadae alla sua straordinaria capacità di catturare non solo immagini, ma anche i sogni e le speranze di molte famiglie.

Un percorso quello di Masashi che lo porta dall’essere un fannullone conclamato a fotografo affermato e stimato, specializzato nel ritrarre in modo originale non solo la sua famiglia, ma anche altre famiglie, regalando loro preziosi ricordi di vita.

Una narrazione quella di Foto di Famiglia in cui fa da sfondo anche il drammatico terremoto del 2011 in Giappone che mette in pausa la carriera di Masashi ma che lo porterà a decidere di unirsi a un gruppo di volontari in un’impresa straordinaria, quella di recuperare le foto e gli album di famiglia smarriti durante il terremoto e restituirli ai legittimi proprietari. Oltre 60.000 foto saranno restituite ai proprietari grazie allo splendido lavoro dei volontari di cui Masashi fa parte e il racconto di questa incredibile impresa fa il giro del mondo.

Foto di Famiglia è un film che parla del potere della fotografia capace di catturare immagini, ma anche emozioni e aspirazioni. È una storia vera di speranza, resilienza e solidarietà in un momento di profonda crisi. La capacità di Masashi Asada di riportare il sorriso sui volti delle persone attraverso la sua arte è un messaggio potente di quanto la creatività e la gentilezza possano influenzare positivamente le vite degli altri.

CultureTherapy

12 ottobre 2023

Sugar Man: l'incredibile storia di Sixto Rodriguez

Sono passati dieci anni da quando Sugar Man arrivò a vincere un meritato premio Oscar come miglior documentario, e fece il suo debutto nelle sale italiane per la prima volta. E oggi, dieci anni dopo, il tempo trascorso ha contribuito ulteriormente a aumentare il fascino del film, e ancora di più quello che circonda i suoi interrogativi principali. [...]

La storia di Sugar Man e quella di Rodríguez sembrano puntare dritti i loro segnali verso il rapporto e la relazione degli artisti con il successo, il denaro, la vita e la morte. Ognuno è libero di leggere i fatti del film e quelli successivi come vuole, ovviamente, ma le riflessioni più rilevanti che emergono dal film appunto queste: quelle che riguardano il modo in cui ogni uomo decide di condurre la propria vita, e dove e come riesce o non riesce a dare senso all’esistenza.

Per tutto il resto, ci sono i dischi e la musica di Rodríguez, dolenti, poetici, politici, vicini in maniera personale a Dylan come a Cat Stevens, e soprattutto e direttamente alla realtà di Detroit. La metropoli che, oggi, è nella storia non più per essere stata Motor City, il centro dell’industria automobilistica americana e mondiale, ma quella che è stata protagonista di uno spettacolare default, divenuto simbolo degli anni della crisi post-subprime, e il cui attuale rinascimento va a formare un altro curioso e casuale (?) parallelo con la storia personale di Sixto Rodríguez, il musicista che ha dovuto fallire per arrivare a risorgere. Un uomo che, a modo suo, è stato e rimane un mistero indecifrabile.

Federico Pontiggia, CominSoon

03 ottobre 2023

Kafka a Teheran: le devastazioni psicologiche del regime in Iran attraverso tableau vivants di vita quotidiana

“Più grande è il budget più piccole sono le idee, più piccolo è il budget più grandi sono le idee”.

Ci perdonerà Francis Ford Coppola per lo scippo, ma l’impressione è che la coppia iraniana Asgari, Khatami lo abbia preso alla lettera. Registi e sceneggiatori che, per necessità, per disperazione ma anche per convinzione hanno cesellato unfilm clandestino, dalla produzione lampo, dalla troupe scarnificata, già costato loro la libertà. Nel pericolo di ingerenze, nella ristrettezza di mezzi, i due autori nascondono sotto il velo del sarcasmo e dell’assurdo kafkiano, un J’accuse arguto e lucidissimo conto il regime iraniano.

Cinema come finestra su una realtà disperata, dunque, in bilico tra il dramma e la farsa, tra il paradosso e il grottesco. Dodici storie di repressione unite da una scrittura tutta dialogica, sempre vibrante nei ritmi, e filmate da una (sola) camera fissa per dodici long takes. 

A volte sono piani americani, altre primi piani. Comunque si ripropone un duello tra campi e controcampi mai mostrati, sempre allusi e uditi. Una gabbia al visibile e all’agibile che allegorizza, si capisce, quella che regna fuoricampo, fuori sala: teocratica, onnipotente o implacabile proprio perché invisibile. A segnalarcela è la voce o-scena (non solo etimologicamente) di burocrati, passacarte, censori della libertà. Sono anonimi esecutori. Depensanti che applicano la legge e attuano l’assurdo. Inutile sottolineare, però, che le vittime che guardano in camera, incalzando loro, vedono noi. [...]

Schematicità (allegorica) di stile, denuncia sociale, essenzialità di scrittura, naturalezza di recitazione: tutto brilla, sgomenta e indigna nel film della coppia Asgari-Khatami passato a Cannes 2023.

Davide Maria Zazzini, Cinematografo.it

21 settembre 2023

Manodopera, una bellissima sorpresa da non perdere

Non fatevi sfuggire questo film: è la più bella sorpresa di questo inizio di stagione. È vero che è un film d’animazione (a passo uno, con i pupazzetti, come quelli di Wallace e Gromit) ma qui non c’è niente (o quasi) da ridere, piuttosto c’è la malinconia e la delicatezza con cui il regista ricostruisce la storia dei suoi nonni, emigrati all’inizio del secolo dal Piemonte alla Francia.

Ughetto come lui, la famiglia di Luigi e Cesira impara a cercare il lavoro dove lo si trova, per esempio al di là del confine italiano, all’inizio lasciando moglie e figli piccoli a casa, poi facendosi seguire da tutti. Intanto gli Ughetto fanno i conti con la guerra di Libia, poi la Grande guerra, la fame, gli incidenti sul lavoro, i fascisti…

Ogni tanto la mano del regista entra in campo, a sottolineare il senso del racconto che il film si è proposto di fare (ricostruire la storia dei nonni), ma soprattutto per aumentare quella dolcissima ma non meno veritiera ricostruzione di un mondo ormai scomparso eppure ancora così pieno di verità e di significato.

Senza nostalgia (il titolo originale Interdit aux chiens et aux italiens non ha bisogno di traduzione) ma con tantissimo amore. Per chi vuole trovare la poesia dell’animazione a passo uno.

Paolo Mereghetti, IoDonna

20 settembre 2023

Strange Way of Life: Ethan Hawke, Pedro Pascal e lo strano western di Pedro Almodóvar

«Strange Way of Life è un western queer, nel senso che ci sono due uomini e si amano e si comportano in modo opposto nella stessa situazione. Riguarda la mascolinità in senso profondo perché il western è un genere maschile. Quello che posso raccontarvi del film è che ha molti elementi del western: ha il pistolero, ha il ranch, ha lo sceriffo, ma ciò che la maggior parte dei western non ha è il tipo di dialogo. Non credo che un film western abbia mai raccontato l’incontro tra due uomini.  Lo strano modo di vivere a cui fa riferimento il titolo allude al famoso fado di Amalia Rodrigues i cui testi suggeriscono che non esiste esistenza più strana di quella che si vive voltando le spalle ai propri desideri».

Pedro Almodóvar

14 settembre 2023

Passages di Ira Sachs: un’opera perfetta nel delineare la follia di relazioni amorose tossiche, con tre ottimi protagonisti

Ira Sachs conduce dialoghi e situazioni sul modello del cinema francese (Pialat e Rohmer su tutti) ma lo arricchisce del maladettismo Fassbinderiano soprattutto nella figura di Franz, indeciso sulla propria identità sessuale. L’autolesionismo del giovane tedesco che non sa quello che vuole, lo conduce a vagare con la bicicletta in maniera peripatetica, disperatamente da un lato all’altro della città. Se la bisessualità è uno stato molto fluido che riflette la confusione del proprio rapporto con la sfera affettiva, l’atteggiamento manipolatorio di Franz nei confronti dei suoi amori è specchio di una fragilità emotiva che sfocia in un disturbo dissociativo. Franz vorrebbe applicare alla vita sentimentale le sue regole, come fa quando dirige un film, con atteggiamento dispotico e arrogante. Ma il Cinema non è la vita e Franz si trova a cambiare continuamente oggetto del desiderio perché le persone sfuggono al suo controllo.

Passages non vive solo di questo triangolo queer, è anche una portentosa prova d’attori: oltre all’ormai gigantesco Rogowski capace anche con la cadenza della voce di trasmettere confusione e instabilità, sono da sottolineare le prove in sottrazione degli altri due protagonisti, Adèle Exarchopoulos e Ben Whishaw. La prima amplifica il personaggio interpretato ne La vita di Adele donandole sensualità e maturità (notate i suoi movimenti quando balla o quando mangia). Il secondo fornisce un manuale perfetto di innamorato condotto alla distruzione psicologica da un narciso egocentrico. Martin non riesce a tagliare il cordone ombelicale della dipendenza affettiva e i suoi tormenti sono tutti nei suoi movimenti indecisi, nei lapsus, nella timidezza arresa degli occhi. Non è un caso che la scena più emozionante del film veda Martin e Agathe uno di fronte all’altra, alle prese con le bugie e i doppi giochi di Franz. La sessualità è il mezzo con cui Franz afferma il suo dominio nella relazione triangolare, disarmando gli altri due amanti con una falsa immagine di debolezza. [...] Presentato a Palermo in anteprima nazionale alla 13° edizione del Sicilia Queer Film Fest, Passages è un’opera perfetta nel delineare la follia di relazioni amorose tossiche mostrando tre personaggi in balia di continui spostamenti del centro di gravità affettivo.

Fabio Fulfaro, Sentieri Selvaggi

11 settembre 2023

Emily: uno sguardo inedito sull'esistenza di una delle autrici più misteriose della letteratura

Emily "la strana", l'empia, il “pesce svitato”, Emily la ribelle, la “dark” diremmo oggi, che, dietro un lenzuolo bianco che profuma di lavanda, gioca con l’amato fratello Branwell a colpi di versi.O forse semplicemente la Emily libera, che scioglie i capelli quando corre a perdifiato nella brughiera di vento, lontana dai confini domestici, poetessa precoce alla disperata ricerca di una libertà artistica e di pensiero. La urla, la vive, con “un sacco di storie in testa” e nel cassetto una fantasia fervida e sconfinata. In piena epoca vittoriana, mentre suo padre Patrick, curato perpetuo, conduce le sue sfide contro il peccato e la vorrebbe insegnante, “Em”, come la chiamano i suoi cinque fratelli, imbastisce storie come il mondo immaginario di Gondal, nelle sua testa, o da dietro una maschera, mentre il suo immaginario talvolta inquieta, atterrisce, imbarazza la famiglia, ma senza dubbio salva la ragazzina innamorata della poesia.Chi era Emily Brontë e cosa si nasconde dietro la creazione di un capolavoro come Cime tempestose, l'unico romanzo della poetessa, scritto fra l'ottobre 1845 e il giugno 1846?Diretto da Frances O’ Connor, al suo debutto alla regia, e interpretato dalla bella Emma Mackey, Emily ci porta nell’appassionante vita di una delle scrittrici più amate di sempre, gettando uno sguardo inedito sull'esistenza di una delle autrici più misteriose della letteratura. Lungi dal volere essere un rigoroso biopic, Emily è un film in stretto dialogo con Cime tempestose, dotato di un impianto spiccatamente narrativo, a tratti fiabesco. La regista invita il pubblico a immaginare cosa possa aver ispirato l'autrice a scrivere il suo unico romanzo. La sceneggiatura cede al ricco mondo poetico di Emily Brontë, senza rinunciare alla precisione storica e biografica, ottenendo una storia che, come spiega O’ Connor, è “per metà la sua vita e per metà Cime tempestose, con l’aggiunta di qualcosa di mio”. Profondamente influenzata dalla morte della madre, dai confini imposti dal padre e dalla vita familiare, dal rapporto con le sorelle Charlotte e Anne e dall’amato fratello Branwell, Emily cerca irrefrenabilmente la sua libertà artistica e la trova nelle poesie arrivate fino a noi e nella creazione di uno dei più grandi romanzi di tutti i tempi che compone quando non ha ancora trent’anni. Sulla scena è un personaggio in evoluzione nel rapporto con se stessa, con il fratello e con la famiglia tutta, ma anche con il proprio talento. Inizialmente timida, chiusa e obbediente, alla continua ricerca dell’approvazione paterna, Emily è animata da una grande curiosità. La vediamo acquistare sempre più fiducia in sé e diventare una donna.Attraverso il film ci addentriamo lentamente nell’essenza più intima di Emily Jane, cogliendo quello spirito che al suo tempo sorprese tutti con un libro considerato all’epoca intenso e appassionato. Sin dalle prime scene, il viaggio nell’universo di Emily è un crescendo di sensazioni che tracciano il cammino di una ragazza che si affaccia all’età adulta, alla spasmodica ricerca del proprio posto nel mondo. O’Connor sfonda con coraggio il muro che avvolge “la sfinge della letteratura inglese”, restituendo corpo, carattere, personalità e voce a una figura arcana. E poco importa se alcuni elementi sono il frutto di una libera interpretazione della regista. Colte nella loro quotidianità, le sorelle Brontë, alle quali si è sempre pensato come a scrittrici molto serie, conquistano con i loro atteggiamenti talvolta divertenti e leggeri, nella loro casa di famiglia e fuori. Nel suo racconto, in bilico tra realtà e immaginazione Frances O’Connor dà la parola a Emily sottraendola all’immagine che di lei ha voluto dare la sorella Charlotte che, dopo la morte, ne ha ripercorso la vita da un punto di vista personale e non sempre obiettivo. Il film tocca anche questo rapporto tra sorelle fatto di punti oscuri, un misto tra rivalità, diffidenza, ma anche di profondo amore e affetto devoto. Mentre Emily vive la sua indocilità con maggiore naturalezza, Charlotte si sforza di soffocare i suoi tratti più irrequieti e spigolosi.[...] Del film Emily colpiscono la natura selvaggia intrista di pioggia, con i suoi contrasti di luci e ombre, il paesaggio evocativo della brughiera dello Yorkshire, che si impone sullo schermo con tutta la sua forza drammatica sviscerando la lotta tra la protagonista e la natura. La fotografia di Nanu Segal restituisce tutta l’intensità della potenza naturale del paesaggio. Lontana da toni patinati o sovraccarichi, l’immagine resta realistica, pastosa, con una calibrata connotazione retrò. E infine spazio al look dei protagonisti. Tra le felici intuizioni del costumista Michael O’Connor (è la stessa regista a rivelarlo) c’è quella del vestito stampato a fulmini. “Nella sceneggiatura c’era un riferimento storico al tessuto viola con motivi simili a saette che Emily aveva comprato per farne un vestito. Michael si è appassionato all’idea e ha realizzato un abito attraversato da una trama di fulmini”. Ma forse l’eredità più grande che Emily lascia ai suoi lettori, nella ricerca di Frances O’Connor come nel suo intramontabile capolavoro, la ascoltiamo per ben due volte nel film: “C’è solo una vera felicità in questa vita, amare ed essere amati”. Samantha De Martin, Arte.it

22 agosto 2023

Si riaccendono le luci dell'Oberdan con un bel film tratto da Pavese

La forza di Cesare Pavese è nella descrizione dei personaggi. Piccoli nitidi dettagli che fanno vivere sulla pagina uomini e donne. Nel caso de La bella estate, soprattutto donne, visto che è uno dei più noti romanzi "al femminile" dello scrittore piemontese. E chi meglio di una regista per portarlo sul grande schermo? Di fronte a tale impresa Laura Luchetti trova una chiave di lettura efficace. A creare il caso è la presenza di Deva Cassel, la figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel, qui al debutto sul grande schermo nel ruolo di Amelia. Quanto Amelia, nella volontà di Pavese e Luchetti, è sfuggente e misteriosa, quanto Ginia, la vera protagonista, è radicata nel presente, divisa tra l'impiego come sarta e i lavori domestici per accudire il fratello Severino. A interpretarla è Yile Yara Vianello, già vista in Corpo celeste e La chimera di Alice Rohrwacher.

13 giugno 2023

Essere e avere: uno sguardo favolistico e poetico sul mondo dell’infanzia

Indugiando sulla solitudine dell’alunno nel suo lavoro e sulle relazioni maestro-alunno e alunno-alunno, Philibert traduce visivamente le emozioni infantili, e, in particolare, suggerisce il percorso interiore che spinge il bambino a confrontarsi con se stesso e con gli altri. Apprendere a vivere in un ambiente comunitario, misurandosi coi propri compagni, significa, innanzitutto, imparare a rispettare la singolarità e la diversità altrui. Sono queste le basi di una vera democrazia, in cui le aspirazioni individuali si coniugano con le esigenze della collettività e il rispetto della dignità dell’uomo. La scuola di Lopez diviene il modello di una comunità dai principi repubblicani, spazio ideale per la costruzione di un pensiero libero e la formazione di individui autonomamente pensanti. Qui, i bambini maturano e crescono, sotto l’ala protettrice del maestro, per arrivare al traguardo finale, costituito dal passaggio al collegio. Il piano-sequenza contribuisce a restituire il mistero della loro crescita, mostrando, con pudore, la gravità del divenire di un’età. Gli alunni, piccole tartarughe alla scoperta della realtà, si formano in una scuola che conserva ancora, per Philibert, il significato originario che i Greci le avevano attribuito: la scuola di oggi, custode della skolé del mondo antico, resta il luogo del “tempo libero”, spazio insostituibile destinato a curare l'”essere” e l'”avere” dell’uomo nel mondo.

Sonia Giardina, Sentieri Selvaggi

13 giugno 2023

ALMODÓVAR - LA FORMA DEL DESIDERIO

Cinque film di culto in versione restaurata per riscoprire la dirompente attualità e la libertà espressiva del cinema di Pedro Almodóvar degli anni ’80.

Negli anni ’80 Almodóvar conquista la scena internazionale film dopo film con la forza di un ciclone: il suo cinema estroso e coloratissimo rappresenta la reazione ai rigidi schemi sociali e morali ereditati dal franchismo; riesce ad essere dissacrante attraverso una miscela unica di realismo e fantasia che rivoluziona il linguaggio cinematografico di quegli anni, introducendo temi considerati scabrosi e trasformando donne, poveri ed emarginati in eroi ed eroine di un mondo nuovo, sgangherato e kitsch ma pieno di energia e politicamente molto, molto scorretto.
Esattamente 40 anni fa L'indiscreto fascino del peccato suscita grande scalpore e accende il dibattito alla Mostra del cinema di Venezia del 1983; con la commedia noir Che ho fatto io per meritare questo? il giovane Almodóvar va alla ricerca di quello che si cela dietro la facciata di una tranquilla famiglia spagnola; indimenticabile melodramma dei sentimenti, La legge del desiderio, con un giovanissimo Antonio Banderas, vince il Teddy Bear al Festival di Berlino nel 1987 e rivela per la prima volta il regista spagnolo a un pubblico italiano sbalordito e pronto a lanciarne il culto; Almodóvar torna a Venezia con Donne sull’orlo di una crisi di nervinel 1988, la commedia degli equivoci che con oltre 50 premi, una nomination agli Oscar® e record al Box Office di più paesi, consacra a livello internazionale il talento del regista spagnolo; con il giallo sentimentale e famigliare Tacchi a spillo (1991), il cinema di Almodóvar continua a graffiare, riprendendo le tematiche e l’estetica degli anni ’80 e aprendosi allo stesso tempo verso una nuova fase creativa.

Questi film rappresentano una cinquina perfetta per leggerezza, spavalderia, audacia e capacità corrosiva. Una rassegna imperdibile a un prezzo imperdibile: solo 3,50 euro a film!