29 maggio 2024

Convocazione di Assemblea Ordinaria

Il 16 giugno 2024, presso il Cinema Oberdan in via Oberdan 11 in Mantova, alle ore 7.00 (prima convocazione) o, in assenza della maggioranza dei soci, alle ore 11.00 (seconda convocazione) si terrà l’Assemblea ordinaria dei Soci del Circolo Cinematografico “Il cinema del carbone APS” con il seguente ordine del giorno:
a) elezione e rinnovo del Consiglio direttivo

b) approvazione del bilancio consuntivo 2023

c) varie ed eventuali
Possono partecipare tutti i soci in regola con il tesseramento per l’anno sociale in corso.
la Presidente
(Anna Maria Baboni)

29 maggio 2024

Rosalie, di Stéphanie Di Giusto: una lezione di indipendenza

Rispetto allo storico cinema sulla diversità, che va dalla Venere nera di Kechiche ai vari uomini elefante, la differenza profonda sta soprattutto nell’approccio: Rosalie è una donna moderna, non vuole nascondersi ma vivere in autonomia, vuole essere quella che è, realizzandosi pienamente nella femminilità e nella sfera sentimentale attraverso la relazione con Abel. Respinge il bollino di vittima del contesto o fenomeno da freak show, che qui non si vede mai: pretende una vita normale, che i peli sul corpo non possono e non devono intaccare. È il mondo intorno a non sopportare una modernità tanto compiuta, intelligente e contemporanea, in grado perfino di sfruttare la smania di guardare degli altri per risanare una crisi economica. Insomma Rosalie è troppo avanti per la Francia di ieri, ma siamo sicuri che non lo sia anche oggi? Un racconto potente di libertà, una lezione di indipendenza servita dall’accurata ricostruzione d’ambiente, dalla prova dei comprimari – con un mefitico Benjamin Biolay – e soprattutto dall’interpretazione di Nadia Tereszkiewicz, portatrice di una grazia naturale che fa risaltare ancora di più i peli sul corpo senza peraltro intaccarne la bellezza.

Emanuele Di Nicola, CineCriticaWeb

21 maggio 2024

Niente da perdere: una madre in lotta contro i paradossi delle istituzioni in un film preciso e capace di prendere posizione

Delphine Deloget, qui al suo lungometraggio d’esordio alla regia, è molto precisa nel creare il ritratto di una madre felice di quello che ha, dignitosa nonostante le difficoltà della vita, che ottiene i favori del pubblico senza risultare subliminalmente pietosa. Ad indossarne i panni è una strepitosa Virginie Efira, che conferma (qualora ce ne fosse ancora bisogno) di essere una delle più interessanti attrici del panorama francese contemporaneo. Con il procedere del film e quindi della battaglia di Sylvie contro le istituzioni, questa compie dei gesti incauti, considerati inaccettabili dalla società che la osserva. Lo spettatore è chiamato quindi ad interrogarsi sulla natura del personaggio: si tratta di gesti soliti per la protagonista e che quindi in qualche modo giustificano ciò che le sta capitando, oppure sono reazioni indotte dal sistema contro il quale sta lottando? Quanto quindi c’è di naturale nel comportamento di Sylvie, o – ecco il meccanismo kafkiano – è la società ad imporle di accettare una condizione paradossale e ad assegnarle un ruolo a cui non può sottrarsi?

Il più grande merito che va riconosciuto a Niente da perdere risiede però nel suo finale. In un cinema che sempre più spesso fatica a schierarsi con i propri protagonisti nascondendosi dietro alla comodità del “finale aperto”, lasciando che sia lo spettatore ad assumersi delle successive responsabilità e ad immaginare quindi le conclusioni al posto di chi scrive il film, Delphine Deloget dimostra di sapere chiaramente da che parte sta. Sblocca quindi l’impasse con una scelta che magari non risulta definitiva e che può essere distante da quella che farebbe lo spettatore, ma esplicita così con forza la propria posizione d’autore.

Matteo Pivetti, SentieriSelvaggi

14 maggio 2024

Una spiegazione per tutto: Un paese diviso in due raccontato attraverso l'esame di maturità di un diciottenne

Dal lunedì al martedì successivo. Nove giorni di un'estate ungherese vista attraverso la prospettiva di quattro personaggi diversi: uno studente Abel, il padre nazionalista del ragazzo, il professore idealista anti-Orbàn e la giovane reporter a caccia di scoop.

Explanation for Everything è uno spaccato profondo dell'Ungheria di oggi ed è capace di raccontare le contraddizioni del proprio paese attraverso i diversi personaggi. Ci sono degli affascinanti residui post-Nouvelle Vague proprio nella struttura temporale del film dove l'intreccio tra arte, politica e sentimenti potrebbero far pensare al cinema di Arnaud Desplechin che si liberano nell'ottimo finale, nella dichiarazione d'amore di Janka, nella scena della corsa in bici di Abel di notte nelle strade deserte di Budapest o il tentativo del bacio del ragazzo a Janka che invece lo abbraccia soltanto.
Da qui arriva una parte dalla forte intensità emotiva che attraversa Explanation for Everything, con un cinema d'immediato impatto che cattura tensioni, paure, scatti di rabbia, desideri attraverso primi piani che prima presentano e poi scoprono gradualmente i caratteri dei diversi personaggi.
Il dettaglio centrale del film, la spilla nazionalista indossata da Abel, sottolinea un preciso e geometrico lavoro di scrittura (il film è scritto dallo stesso regista Gabor Reisz assieme ad Eva Schulze) dove lo stesso episodio è visto da diversi punti di vista contrastanti come nel cinema di Farhadi. Dall'episodio dell'esame di storia di Abel c'è un prima e un dopo che cambia le vite dei personaggi proprio come nella scena dello scontro tra Nader e la giovane donna che si doveva occupare del padre in Una separazione. Da quel momento il film ha una tensione crescente e mostra come un singolo episodio nascosto dentro le mura di una scuola può trasformarsi in uno scandalo nazionale.

Simone Emiliani, Mymovies

07 maggio 2024

Foto, video e mistificazione della reltà: Fantastic Machine di Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck

È curioso che anche il più celebre video-saggio della storia del cinema, F for Fake di Orson Welles, sia incentrato sul tema della contraffazione. D’altra parte, manipolare le immagini è la forma di raggiro più diffusa nella società dello spettacolo, ma la narrazione visiva ha il potere di smascherare l’inganno: nel video-saggio, l’immagine stessa diviene infatti uno strumento di indagine, analisi e svelamento, mettendo in luce ogni suo trucco. Fantastic Machine di Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck lavora proprio in tal modo, compiendo un percorso storico che parte dall’invenzione della fotografia e arriva fino alla moltiplicazione inusitata dei sistemi di ripresa, tipica del nostro presente. Più che un documentario, insomma, è un rarissimo caso di video-saggio che trova una distribuzione nelle sale, composto da materiali di archivio selezionati e riassemblati con arguzia.

Dal momento in cui Joseph Nicéphore Niépce riuscì per la prima volta a fissare una fotografia in modo permanente (con la celebre Vista dalla finestra a Le Gras, 1826), l’umanità si è ritrovata fra le mani una “macchina meravigliosa” dotata di enormi potenzialità. Ma come l’ha usata nel corso dei decenni? In che modo ne ha sfruttato le formidabili risorse? È questo l’interrogativo che Danielson e Van Aertryck si pongono nel loro lungometraggio, mostrando come la riproduzione delle immagini sia stata impiegata progressivamente per mistificare la realtà, manovrare il consenso, distrarre l’opinione pubblica e mettere in scena una versione edulcorata (quando non fittizia) di noi stessi.

L’operazione compiuta dai registi è affascinante, senza dubbio. Concatenando materiali eterogenei, Fantastic Machine usa il narratore extradiegetico – Elio Germano nell’edizione italiana – per guidare il pubblico attraverso una riflessione dai toni brillanti, lasciando però che siano le immagini a parlare. Il narratore è infatti una presenza discreta, e preferisce fare un passo indietro per consentire ai filmati di esprimere autonomamente il proprio senso, di “spiegarsi” da soli. In un film sul potere comunicativo delle immagini, questa soluzione ha il pregio di far coincidere contenitore e contenuto.

Lorenzo Pedrazzi, Screenweek

02 maggio 2024

Gianluca Vassallo presenta IL POSTO al cinema dl carbone

Dopo La sedia, giovedì 2 maggio alle 21 il regista sardo torna al carbone a presentare il suo nuovo lavoro IL POSTO, che vede sempre protagonista Michele Sarti: una storia di finzione che interpreta e omaggia i 50 anni di DEGW, società di progettazione specializzata in luoghi di lavoro, un racconto inedito sulla centralità dello spazio di lavoro per la collettività e il suo impatto sulle nostre vite.

L'ingresso è gartuito per gli studenti del Politecnico.

29 aprile 2024

Come fratelli – Abang e Adik: dalla Malesia impariamo il senso della vita

Premiato al Far East Film Festival 2023, Come fratelli – Abang e Adik appartiene alla schiera di quelle opere d’autore semplici ma indelebili. Al suo debutto in cabina di regia, Jin Ong dà voce a una realtà dal quale prendere spunto, non solo per riflettere su alcuni valori imprescindibili, ma anche per impararne l’importanza. Attraverso la storia dei protagonisti – magistralmente interpretati da Wu Kang Ren e Jack Tan – vengono affrontati tanti temi, dall’amicizia al sacrificio, dalla solitudine alla paura. Il discorso culturale caratterizza la narrazione, rendendola al tempo stesso poetica e potente. [...]

Cresciuti insieme, pur non avendo alcun legame di sangue, Abang e Adik si comportano (e si considerano) come due veri fratelli. E, come tali, esibiscono una serie di differenze caratteriali, che li porta spesso a scontrarsi. Ma l’affetto che li lega non è mai messo in dubbio, neanche nei momenti di maggior sconforto o nelle liti più burrascose. Ad aiutarli, due figure femminili straordinariamente umane e importanti: una prostituta di nome Money (Kim Wang Tan) e l’assistente sociale Li Jia (Serene Lim). Come fratelli – Abang e Adik mette in luce un particolare spaccato esistenziale, dal quale è impossibile non venir toccati. I due protagonisti appartengono alla schiera degli umili, degli oppressi, degli sfortunati. Eppure, in qualche incredibile maniera, trovano la spinta, se non esattamente la voglia, di andare avanti, di farcela, di sopravvivere. Ma come può definirsi vita questa? [...]

L’amore fraterno prescinde dall’essere nato nella stessa famiglia, dagli stessi genitori; è qualcosa che viene a crearsi naturalmente e diventa indissolubile. Se le condizioni di povertà che vivono Abang e Adik li spinge a trovare riparo e conforto l’uno nell’altro, i due si sono scelti al di là di una mera questione opportunistica. Vittime di un sistema che non concede spiragli alla speranza, i protagonisti credono ancora a un futuro possibile. E lottano con tutte le loro forze per ottenerlo.

Sabrina Colangeli, TaxiDrivers

23 aprile 2024

Dune - Parte Due: un sequel imponente, tra continuità e naturale evoluzione

Dune - Parte Due si presenta al cospetto del proprio pubblico in perfetta continuità con quanto visto nella prima parte, con uno sviluppo che non si limita a continuare la storia che era stata impostata, ma ne rappresenta la naturale evoluzione in termini narrativi ed espressivi. Resta il Dune che molti avevano amato, ma alza l'asticella da molti punti di vista. [...]

C'è infatti continuità narrativa e visiva in Dune - Parte Due rispetto al suo precedessore. Il nuovo film riprende e amplifica quanto già visto con coerenza stilistica e contenutistica, un aspetto che consideriamo come uno dei suoi pregi, ed è qualcosa di non così scontato come potrebbe sembrare. Il Dune di Villeneuve si dimostra un'opera unica, potente, sontuosa (e vi consigliamo di fruirne nella sala migliore che riuscite a trovare nella vostra zona), capace di porsi nel panorama dei grandi Blockbuster contemporanei con le proprie solide regole. Non scende a compromessi, Villeneuve, nel dettare i tempi del suo racconto, lo porta piuttosto avanti con un andamento posato, ragionato, ma potente e travolgente: non c'è scena di Dune - Parte Due che non lasci il segno nello spettatore, che sia un semplice dialogo messo in scena con cura ed eleganza o una battaglia che lascia senza fiato.

Antonio Cuomo, Movieplayer

09 aprile 2024

I misteri del Bar Étoile: tra fantasia danzante e colorato film noir

Fiona Gordon e Dominique Abel sono tornati con L’étoile filante per incantare il pubblico del Festival di Locarno, dove il film ha aperto il programma della Piazza Grande, con il loro cinema unico e poetico, che qui portano nel territorio del noir, tornando alle loro esplorazioni del cinema slapstick e lasciando che la rabbia del mondo risuoni in lontananza.

Li avevamo lasciati ai piedi della Torre Eiffel nel 2016 con Paris Pieds Nus, con Pierre Richard e Emmanuelle Riva, e li ritroviamo sette anni dopo nelle strade acciottolate di Bruxelles, che danno ai primi minuti del film un'aria da vecchia detective story.

Il malinconico barista Boris è perseguitato dal suo passato violento. Vive con Kayoko che, fortunatamente, sembra più che capace di occuparsi del loro destino e della loro vita quotidiana. Ma quando la vittima di un'aggressione finita male si presenta, intenzionata a vendicarsi del passato, Boris si ritrova con le spalle al muro. L’apparizione inaspettata di un sosia depresso quanto lui è quindi provvidenziale. Dom diventa Boris e Boris diventa Dom. Se non fosse che, dal canto suo, l'ex moglie di Dom, Fiona, detective privata old school dotata di macchina da scrivere, impermeabile e una nota dipendenza dall'alcol, risale gradualmente le fila della sua scomparsa fino a L’étoile filante, un bar malfamato in cui si aggira un killer ostacolato da un braccio recalcitrante.

Si ritrovano in L’étoile filante tutti gli ingredienti che hanno garantito il successo del duo incredibilmente creativo composto da Abel & Gordon: un'estetica "casalinga" esaltata dal loro gusto per tutto ciò che è artigianale (sono gli autori oltre che i registi, i produttori e gli attori dei loro progetti), una sinfonia di colori primari, scene composte come se fossero dei quadri, corpi che parlano più delle parole, danze che si impossessano improvvisamente dei vari personaggi e un'irresistibile genialità visiva (solo loro potevano sublimare la carta igienica in modo simile). È un universo singolare che richiede allo spettatore di accettare il suo aspetto slapstick fin dall'inizio e di lasciarsi andare al flusso.

Ma questa volta l'universo del duo sembra contaminato da nuovi elementi, che vanno dal grigio chiaro al grigio scuro, o addirittura molto scuro: la musica sublime e fortemente malinconica del duo Birds on a Wire, sogni agitati, depressioni non così latenti, un killer impazzito, un attentato, un lutto parentale e, in lontananza, la protesta sociale. È un gioco di equilibri, portato avanti dalla troupe del duo, che qui ritrova Bruno Romy e Philippe Martz, e che "scopre" la ballerina e coreografa Kaori Ito, il cui personaggio di piccola ginnasta giapponese vestita di rosso e dai piedi espressivi conferisce un'energia sorprendente all'intera storia.

Aurore Engelen, Cineuropa

04 aprile 2024

Se solo fossi un orso: una sensibile opera prima come spaccato della contradditoria società mongola

La famiglia di Uzii (il padre è morto e ci sono tre fratelli più piccoli) vive sotto la soglia di povertà anche perché la madre non è riuscita, come si dice con una formula ormai un po' vuota, ad elaborare il lutto e non si ritrova né nella grande città né nella campagna a cui decide di fare ritorno. Zoljargal Purevedash ci mostra una società che spinge una parte dei suoi membri ad uno sdoppiamento esistenziale che può condurre alla più totale perdita di speranza. [...]

Ecco allora che la battuta del titolo originale "If I Only Could Hibernate", con tutta la sua significatività legata al desiderio di un'uscita seppur temporanea dal vivere sociale, non viene affidata al protagonista ma a un fratello minore già in fondo consapevole non solo del rigore del clima ma soprattutto di quello di un mondo che non sa guardare agli ultimi se non con sussidi che non aiutano a trasformare radicalmente la loro condizione. Potrebbero riuscirci le doti di chi ama lo studio e affronta con passione un mondo complesso come quello della Fisica.
Lo sguardo in macchina che Uzii riserva allo spettatore a un certo punto del film interroga i responsabili politici della Mongolia ma, fatte le dovute proporzioni e considerate le differenze, va oltre i confini nazionali per estendersi a tutte le società in cui di fatto gli ostacoli frapposti a chi avrebbe le carte in regola per emergere non sono trascurabili.

Giancarlo Zappoli, Mymovies