13 marzo 2016

Interno - Iaia Forte

La prossimità del palcoscenico alla platea fa di Dialoghi di Teatro contemporaneo un'occasione irripetibile; nella serata di lunedì 14 alle ore 21.15 Iaia Forte si confronterà con Anna Maria Ortese, per la quale ha sempre nutrito una forte passione, per la ricchezza della sua lingua non naturalistica, per il suo modo di sentire il mondo, vibrante ma mai sentimentale. E a noi il piacere di vederla in scena.

09 marzo 2016

Un robot per amico

Sabato 12 marzo alle 16.15 nuovo appuntamento col carbone dei piccoli lab, con l'avvincente incontro dedicato ai bambini tra i 10 e i 13 anni (4-5 elementare e scuole medie) dal titolo Storie di robot, uomini e animali; ideato da Tullia Urschitz, insegnante di matematica e scienze, di nuove tecnologia applicate alla didattica, collaboratrice della Scuola di Robotica di Genova, ricercatrice presso il Centro Studi sulla Disabilità e Marginalità, che utilizza la robotica educativa e le nuove tecnologie all’interno del curriculum scolastico per potenziare i processi di apprendimento e favorire l’inclusione, l'incontro avrà la durata di due ore. Il laboratorio dedicato a ragazzine/i ha l’obiettivo di promuovere l’utilizzo della robotica e della programmazione non come discipline, ma come strumenti per stimolare la creatività e l’apprendimento. Piccoli robot Lego saranno i protagonisti di una storia: saranno uomini, animali o macchine? Dipenderà dalla fantasia dei creatori! I robot sono artefatti particolari perché simulano il comportamento di un vivente, uomo o animale. Questo fa sì che siano percepiti come esseri dotati di un’intelligenza propria, con cui si può comunicare e quindi instaurare una sorta di ‘relazione’. Giocare e imparare con i robot rappresenta un’esperienza entusiasmante.   Il laboratorio, come al solito, è gratuito previa iscrizione: i genitori devono compilare il form che si trova cliccando su "iscriviti": ISCRIVITI Ogni partecipante dovrà portare con sé, se possibile, un computer portatile sul quale saranno installati i software necessari. Per informazioni: www.ilcinemadelcarbone.it. info@ilcinemadelcarbone.it  

08 marzo 2016

Allons au cinéma!

Enfants prodiges: ritratti visionari.

È indipendente e solido, è sognatore e popolare. È il cinema quebecchese, che Dolan infiamma sulla scena internazionale con il suo universo glam. In un trittico, i racconti e le storie ad occhi aperti, sulla vita di tre enfants prodiges di tutti i giorni. Dall'idealismo innocente del sedicenne italo-canadese Jean Corbo, piccolo rivoluzionario travolto dall'incoscienza, nella primavera del 1966.  Ai lamenti tristi del Chorus tragico, che François Delisle dipinge con le sfumature del bianco e del nero. All'innocenza comica del cuore trapiantato di Madame Sabali, madre rinata per caso, sulle note del duo franco-malinese Amadou et Mariam. I frammenti della memoria collettiva, le lacrime amare del destino, le speranze inguaribili della scienza medica post-romantica. Come un sogno dentro a un sogno, ritratti visionari del Québec.

In occasione del mese internazionale della francofonia, la tredicesima edizione delle Journées du cinéma québécois en Italie saranno per la prima volta ospitate anche  a Mantova al cinema del carbone dal 10 al 13 marzo 2016.

La rassegna, che quest’anno ha come tema "Enfants prodiges – Ritratti visionari” proporrà 3 lungometraggi di finzione, un documentario e una selezione di cortometraggi transitati nei più importanti festival internazionali e inediti in Italia. Un’occasione unica per approcciarsi a una cinematografia poco conosciuta nel nostro Paese.

Tutte le proiezioni si terranno al cinema Oberdan (via Oberdan, 11 – Mantova).

I film saranno proposti in lingua originale francese con sottotitoli in italiano.

Abbonamento 4 film + 2 selezioni di cortometraggi | 12 euro.

Biglietto singolo spettacolo: Intero 7 euro | Ridotto soci 5 euro.

Biglietto selezione di cortometraggi: 3 euro

06 marzo 2016

CINEARTE (2016) Il surrealismo al femminile: Meret Oppenheim

Meret Oppenheim (1913-1985) è stata una delle più straordinarie artiste del XX secolo. Il suo lavoro si basa sullo smantellamento dell’abitudine e sulla rappresentazione insolita del reale, il tutto equilibrato da un imperscrutabile senso dell'umorismo. Ne derivano soggetti accuratamente ordinati e fatalmente perversi, primo tra tutti il celebre Colazione con pelliccia.  Il film, brillante ritratto di un’artista poliedrica che fu pittrice e scultrice, scrisse poesie e realizzò costumi, mette in risalto le relazioni con artisti celeberrimi: Man Ray che le chiede di posare per lui, Daniel Spoerri per cui disegna maschere e costumi, Alberto Giacometti di cui è un’attenta osservatrice. E rivela attraverso interviste ad amici la grande sfida di essere una donna-artista, colei che affermava che “la libertà non è stata data a nessuno, bisogna prenderla”. Martedí 8 marzo alle 21.15 averemo Il piacere di essere guidati alla scperta di questa artista da Rinaldo Censi, critico cinematografico e studioso delle relazioni tra cinema e arti visive.

I tre appuntamenti sono realizzati grazie alla collaborazione tra Il cinema del carbone e gli Amici di Palazzo Te.

01 marzo 2016

L'orso d'argento di Berlino è di Pablo Larraìn

Il 19 agosto prossimo, il cileno Pablo Larraín compirà 40 anni: fino ad allora, rimarrà il più grande regista under 40 al mondo. In attesa di una doppietta da brividi, ovvero Neruda e Jackie (Kennedy), ad oggi ha firmato cinque film: il primo, Fuga, non è uscito nelle nostre sale; Tony Manero (2008) è un musical atipico sul regime Pinochet, una danza macabra tra John Travolta e follia omicida; Post Mortem (2010), con la macchina da presa per bisturi e lo stile che disseziona, è un’autopsia della democrazia (e di Salvador Allende); No – I giorni dell’arcobaleno(2013) ritorna alla “pubblicità progresso” per il referendum del 1988 in Cile. Il quinto è forse il suo film migliore, s’intitola Il Club (El Club) e si apre con dei versetti strappati alla Genesi: “Dio vide che la luce era cosa buona, e separò la luce dalle tenebre”.

Quale luce, quali tenebre e, dunque, quali uomini? Quattro sacerdoti, tra cui il Padre Vidal interpretato dall’attore feticcio di Larraín, Alfredo Castro, che vivono in una casa alla fine del mondo: ognuno di loro deve espiare una colpa, laddove senza gli abiti talari indosso si parlerebbe di crimini, quali pedofilia e traffico di minori, dalle conseguenze penali. Qui no, ed è una differenza stridente, che grida vendetta a Dio. Dice il regista, “sono sempre stato tormentato dal destino di quei sacerdoti che vengono rimossi dai loro incarichi dalla Chiesa stessa, in circostanze sconosciute, e allontanati dall’opinione pubblica. Nessuno sa dove siano finiti, in qualche modo scomparsi. Questi sacerdoti che si sono persi non rientrano più nella sfera di controllo della Chiesa. Sono stati condotti in case di ritiro in totale silenzio. Dove sono quei sacerdoti? Come vivono? Chi sono? Cosa fanno?”. Vivono, forse, solo sopravvivono sotto le cure di una suora, che fa da supervisore:esistenza sedata e rigidamente controllata, routine e preghiera, regole esaustive e allontanamento dal mondo. Può durare?

Non può: arriva un quinto sacerdote, ma non è solo. Con lui compare tale Sandokan (Roberto Farías), ed è voce di uno che grida in un altro deserto, quello delle violenze subìte: “Penetrazione”, “eiaculazione”, “prepuzio”, il suo mantra è esplicito, fanciullesco, torturato tra significato e significante. Non sappiamo ai sacerdoti nella casa, ma a noi spettatori in sala viene la pelle d’oca: il refrain di Sandokan forza l’empatia, tortura le coscienze, perché ha la forza dolorosa del migliore cinema, ossia l’evocazione. A noi l’onere di immaginare quelle molestie, quegli stupri: Larraín non si accanisce, ma nemmeno allevia la sofferenza. La posizione morale è la nostra: non solo è scomoda, fa male.

No, non può durare: esplode un colpo di pistola, e arriva un altro sacerdote, il gesuita Padre García (Marcelo Alonso), chiamato a indagare e fare pulizia. “Questo sacerdote ha delle analogie con Papa Francesco, ma sia la Chiesa vecchia che quella nuova di Bergoglio condividono il terrore per i mass media: forse la Chiesa ha più paura della stampa che dell’inferno”, osserva Larraín, ma ne equivocheremmo la cifra poetico-stilistica a pensare a un cinema di esplicita e programmatica denuncia civile: “Non è un pamphlet, i miei film non hanno mai un obiettivo ideologico, viceversa, il cinema è sempre politico, ma per quel che è, non per quel che dice”. Se con “l’egemonia dell’alta definizione oggi tutti i film assomigliano alle riprese sportive”, Il Club impiega “obiettivi sovietici, usati anche da Tarkovskij, e filtri per cercare una trasfigurazione visiva”: l’epifania di un club che non è solo fuori dal mondo, ma un altro mondo che non conosce pietas, rinnega il dialogo, esclude virtù e conoscenza.

Da qui la predilezione di Larraín per i primi piani dei suoi sacerdoti: il campo-controcampo, ovvero l’interazione, non esiste; i volti sono davanti alla macchina da presa come allo specchio. Se Il caso Spotlight di Tom McCarthy ripercorrendo l’indagine del Globe sui casi di pedofilia nella Chiesa di Boston crede ancora nella giustizia e nella (di)mostrazione dei fatti, Larraín sospende la pena, ma non il giudizio morale: che succede quando è l’uomo a spegnere la luce? La risposta è in sala: non perdetela, El Club è un capolavoro.

FEDERICO PONTIGGIA - per Il Fatto quotidiano

15 febbraio 2016

Una serie al cinema

Possono le serie pensate per la tv essere viste al cinema?

Per Cahiers du cinéma il miglior film francese è una serie televisiva. E sarà presto sul grande schermo del carbone.

Ecco la storia.

P'tit Quinquin (Alane Delhaye) è un ragazzino molto vivace di una dozzina d'anni che vive nella fattoria di famiglia. E' l'inizio delle vacanze estive e trascorre il tempo coi suoi due amici e la fidanzatina Eve, girando in bicicletta e facendo scherzi con i petardi. Ma un evento straordinario sopraggiunge con la scoperta di un cadavere di una vacca squartata ed esposta spettacolarmente in un bunker, una spoglia tanto più inquietante in quanto l'autopsia rivela dei resti umani all'interno. Arriva in città un'improbabile coppia di investigatori della polizia composta dal comandante Van der Weyden (un esilarante Bernard Pruvost), pieno di tic, e dal luogotenente Rudy Carpentie, che passerà tutto il film a fare assurde manovre da pilota di rally. "Non siamo qui per fare della filosofia", precisa subito uno dei due, mentre un secondo cadavere (una donna senza testa) fa la sua comparsa. Moltiplicando le piste false (la coppia di amanti, il giovane terrorista in erba perduto nel clima di pregnante razzismo locale) e le divagazioni, da un funerale assurdo a un concorso canoro radiofonico passando per la fanfara del 14 luglio, le indagini avanzano in una nebbia resa ancora più fitta da altri tre omicidi (l'ultima vittima è divorata dai suoi maiali), mentre P'tit Quinquin prosegue la sua vita di giovane adolescente.

Basato principalmente sulla ripetizione comica, l'umorismo assurdo (un presunto colpevole compare di tanto in tanto, coperto da un passamontagna) e un gioco sul concetto del doppio, il film è particolarmente divertente e ricco di momenti di autoironia. Bruno Dumont non manca di trattare i soggetti che lo hanno sempre affascinato: l'ereditarietà e la trasmissione del male, l'ipocrisia sociale e la quotidianità delle classi popolari ("è Zola!", esclama uno dei protagonisti). E a dispetto della loro apparenza parodistica, i personaggi esprimono una grande autenticità. Quanto alla messa in scena, essa è del tutto eccezionale rispetto al livello abituale delle serie TV europee, e Dumont trae il maggior vantaggio dalle risorse delle location (piccole strade di campagna, praterie, spiaggia, ecc.) e dai volti molto espressivi del suo cast. E se il cineasta mostra una faccia nuova introducendo la risata in una filmografia da cui era finora completamente assente, non bisogna dimenticare che in un registro molto più drammatico, L'humanité era già incentrato su un'indagine della polizia.

09 febbraio 2016

Leoni ne abbiamo?

Da questa settimana i leoni d'oro in programmazione al cinema del carbone sono ben due: ad affiancare il maestro Tavernier, premiato alla carriera e nostro ospite per ancora un mese, arriva in programmazione il vincitore all'ultima Mostra del cinema di Venezia, Ti guardo (Desde allà) di Lorenzo Vigas.

L'esordio nel lungometraggio del regista venezuelano getta un ponte di collegamento fra il Mediterraneo e l’America Latina, attestato daii rimandi a Pier Paolo Pasolini e a Henri-Cartier Bresson. “Indubbiamente sul piano tematico, Pasolini è stato un riferimento molto importante per me in questo film. Per quanto riguarda la forma, invece, non posso dire che sia ‘pasoliniana’. Direi che è più ‘bressoniana’. Bresson è stato un altro regista fondamentale per me” ha confermato lo stesso Vivas. Le tematiche trattate, inoltre, - povertà, distinzione in caste, rapporto omoerotico paideutico - attingono a piene mani dalla cultura greco-romana, in particolare dal Satyricon di Petronio, seppur in modo implicito e indiretto.

Armando (Alfredo Castro), protagonista della storia, è inabile nelle relazioni con gli altri. Il racconto avviene attraverso tale personaggio incapace di stabilire un livello di comunicazione emotiva ed affettiva con l’altro: un uomo che non riesce a connettersi col mondo che lo circonda, ha una visione nebulosa, sfocata come la fotografia di Sergio Armstrong, che serve a presentare Armando come un fantasma che vaga per le vie di Caracas. Un viaggio mentale ed emotivo che si snoda perfettamente nel susseguirsi delle scene, che fa percepire visivamente come Armando viva la sua freddezza e razionalità passeggiando fra le strade, mentre istintività, passione verso l’amato, emozioni, si manifestano fra le mura domestiche, al chiuso.

Secondo di tre prodotti cinematografici incentrati sull’essere genitori, questione fondamentale nel pensiero del regista venezuelano, originario di Mérida e figlio del noto pittore Oswaldo Viga, Ti guardo si concentra sull'assenza del ruolo genitoriale maschile. Il rapporto padre-figlio con Elder e l'inusuale relazione amorosa con lo stesso nasce da un comune sentimento di mancanza nei confronti della figura paterna.

04 febbraio 2016

Hail to the Duke!

C'era una volta un Duca Bianco che aveva un potere: tutto quello che toccava, diventava magico. Musica, costumi, videoclip, film, tutto era nelle sue corde, su tutte le mode aveva un'influenza. Era nato per stare sotto le luci della ribalta. Aveva fame di successo, di arte, di teatro, amava sperimentare e rompere le regole.

C'era una volta e adesso non c'è più, ma resta l'immensa fame di conoscenza che ci ha lasciato in mezzo secolo di carriera. Quella stessa fame di umanità che lo consuma in The hunger (Miriam si sveglia a mezzanotte) di Tony Scott, il film che abbiamo scelto tra i tanti per celebrarne i fasti cinematografici.

Per il lato musicale, ci penseranno I Libici a far ribollire il dancefloor del carbone, una nuova dimensione che non vediamo l'ora di sperimentare insieme a tutti quelli che vorranno fare festa, travestirsi e passare una serata di celebrazione della vita di un artista. Per gli assetati, non mancheranno i rifornimenti dell'Arci Virgilio Club.

Omaggiamo il Duca: sabato 6 febbraio, a partire dalle 21 è la David Bowie Tribute Night.

29 gennaio 2016

Crossing borders

Quando il governo non è in grado di fornire la minima sicurezza da organizzazioni criminali assassine, è accettabile prendere la legge nelle proprie mani per proteggere la tua famiglia, la tua terra, e il tuo paese? Questa è la domanda al centro di Cartel Land, un viaggio potentemente viscerale all'interno di due movimenti di vigilantes moderni.

Nello stato messicano di Michoacán, il dottor Jose Mireles, un medico di provincia conosciuto come "El Doctor," guida una rivolta cittadina contro i Cavalieri Templari, il violento cartello della droga che ha provocato il caos sulla regione per anni. Nel frattempo, in Altar Valley - un corridoio deserto dell'Arizona stretto e lungo cinquantadue miglia, conosciuto come Cocain Alley - Tim "Nailer" Foley, un veterano americano, è a capo di un piccolo gruppo paramilitare chiamato Arizona Border Recon, il cui obiettivo è di fermare le infiltrazioni delle guerre per droga messicane attraverso all'interno del confine statunitense.

L'intrepido regista Matthew Heineman - già autore di Escape Fire: The Fight to Rescue -  si cala nel cuore delle tenebre come Nailer , El Doctor , e il cartello ogni vie per apporre il proprio marchio di giustizia a una società in cui le istituzioni hanno fallito . Brillante , pericoloso , e provocatorio, Cartel Land è una graffiante meditazione sulla difficile separazione tra bene e male e sulla sottile linea di confine oltre la quale l'istinto di sopravvivenza sovrasta la legge.

In esclusiva al cinema del carbone, il documentario che ha vinto i premi per la migliore regia e fotografia al Sundance Film Festival, candidato all'Oscar 2016 di categoria, all'interno della rassegna Mondovisioni - i documentari di Internazionale.

Martedì 2 febbraio, in doppia proiezione alle 18.15 e alle 21.15.

20 gennaio 2016

Un leone d'oro al carbone

Il cinema del carbone in collaborazione con il Circolo del Cinema dedica una retrospettiva monografica a Bertrand Tavernier, il grande maestro francese che è stato insignito del Leone d'oro alla carriera durante l'ultima Mostra del cinema di Venezia.

Nato a Lione il 25 aprile 1941, Tavernier è un cineasta dalle molte facce, per la quantità dei temi, delle situazioni, dei generi toccati. Cinéphile accanito come tutti i ragazzi della sua età, ha cominciato occupandosi del cinema americano (e certi giudizi su personaggi e momenti del western si leggono ancora oggi con vero piacere). Contrariamente a Truffaut e agli altri critici che costituiranno la nouvelle vague,  lui ammira e difende le generazioni precedenti degli Autant-Lara, Clouzot, Aurenche e Bost, si ispira al cinema del Front populaire e del dopoguerra.

In trentacinque anni di attività, ha realizzato ventisette film, perlopiù di finzione ma anche documentari, film storici (da la Régence alla Belle époque, dal Medioevo all’occupazione) e contemporanei, tratti dai libri o costruiti da altri, ma sempre partendo da sceneggiature proprie. Curiosità e desiderio sono i motori del suo cinema: curiosità per le popolazioni, i mestieri, per le culture, per ciò che forma il presente e prepara l’avvenire, e desiderio che i suoi film contribuiscano a cambiare il mondo.

L'eclettismo di Bertrand Tavernier, questo il titolo della rassegna, propone in esclusiva ai soci del carbone e del circolo del cinema otto titoli che ripercorrono la carriera del cineasta lionese. Tutti i lunedì, a partire dal 25 gennaio, in doppia proiezione alle 18.15 e alle 21.15. Il film che apre la rassegna, L'orologiaio di Saint Paul, sarà presentato da Alberto Cattini, autore del catalogo dedicato.