01 marzo 2016

L'orso d'argento di Berlino è di Pablo Larraìn

Il 19 agosto prossimo, il cileno Pablo Larraín compirà 40 anni: fino ad allora, rimarrà il più grande regista under 40 al mondo. In attesa di una doppietta da brividi, ovvero Neruda e Jackie (Kennedy), ad oggi ha firmato cinque film: il primo, Fuga, non è uscito nelle nostre sale; Tony Manero (2008) è un musical atipico sul regime Pinochet, una danza macabra tra John Travolta e follia omicida; Post Mortem (2010), con la macchina da presa per bisturi e lo stile che disseziona, è un’autopsia della democrazia (e di Salvador Allende); No – I giorni dell’arcobaleno(2013) ritorna alla “pubblicità progresso” per il referendum del 1988 in Cile. Il quinto è forse il suo film migliore, s’intitola Il Club (El Club) e si apre con dei versetti strappati alla Genesi: “Dio vide che la luce era cosa buona, e separò la luce dalle tenebre”.

Quale luce, quali tenebre e, dunque, quali uomini? Quattro sacerdoti, tra cui il Padre Vidal interpretato dall’attore feticcio di Larraín, Alfredo Castro, che vivono in una casa alla fine del mondo: ognuno di loro deve espiare una colpa, laddove senza gli abiti talari indosso si parlerebbe di crimini, quali pedofilia e traffico di minori, dalle conseguenze penali. Qui no, ed è una differenza stridente, che grida vendetta a Dio. Dice il regista, “sono sempre stato tormentato dal destino di quei sacerdoti che vengono rimossi dai loro incarichi dalla Chiesa stessa, in circostanze sconosciute, e allontanati dall’opinione pubblica. Nessuno sa dove siano finiti, in qualche modo scomparsi. Questi sacerdoti che si sono persi non rientrano più nella sfera di controllo della Chiesa. Sono stati condotti in case di ritiro in totale silenzio. Dove sono quei sacerdoti? Come vivono? Chi sono? Cosa fanno?”. Vivono, forse, solo sopravvivono sotto le cure di una suora, che fa da supervisore:esistenza sedata e rigidamente controllata, routine e preghiera, regole esaustive e allontanamento dal mondo. Può durare?

Non può: arriva un quinto sacerdote, ma non è solo. Con lui compare tale Sandokan (Roberto Farías), ed è voce di uno che grida in un altro deserto, quello delle violenze subìte: “Penetrazione”, “eiaculazione”, “prepuzio”, il suo mantra è esplicito, fanciullesco, torturato tra significato e significante. Non sappiamo ai sacerdoti nella casa, ma a noi spettatori in sala viene la pelle d’oca: il refrain di Sandokan forza l’empatia, tortura le coscienze, perché ha la forza dolorosa del migliore cinema, ossia l’evocazione. A noi l’onere di immaginare quelle molestie, quegli stupri: Larraín non si accanisce, ma nemmeno allevia la sofferenza. La posizione morale è la nostra: non solo è scomoda, fa male.

No, non può durare: esplode un colpo di pistola, e arriva un altro sacerdote, il gesuita Padre García (Marcelo Alonso), chiamato a indagare e fare pulizia. “Questo sacerdote ha delle analogie con Papa Francesco, ma sia la Chiesa vecchia che quella nuova di Bergoglio condividono il terrore per i mass media: forse la Chiesa ha più paura della stampa che dell’inferno”, osserva Larraín, ma ne equivocheremmo la cifra poetico-stilistica a pensare a un cinema di esplicita e programmatica denuncia civile: “Non è un pamphlet, i miei film non hanno mai un obiettivo ideologico, viceversa, il cinema è sempre politico, ma per quel che è, non per quel che dice”. Se con “l’egemonia dell’alta definizione oggi tutti i film assomigliano alle riprese sportive”, Il Club impiega “obiettivi sovietici, usati anche da Tarkovskij, e filtri per cercare una trasfigurazione visiva”: l’epifania di un club che non è solo fuori dal mondo, ma un altro mondo che non conosce pietas, rinnega il dialogo, esclude virtù e conoscenza.

Da qui la predilezione di Larraín per i primi piani dei suoi sacerdoti: il campo-controcampo, ovvero l’interazione, non esiste; i volti sono davanti alla macchina da presa come allo specchio. Se Il caso Spotlight di Tom McCarthy ripercorrendo l’indagine del Globe sui casi di pedofilia nella Chiesa di Boston crede ancora nella giustizia e nella (di)mostrazione dei fatti, Larraín sospende la pena, ma non il giudizio morale: che succede quando è l’uomo a spegnere la luce? La risposta è in sala: non perdetela, El Club è un capolavoro.

FEDERICO PONTIGGIA - per Il Fatto quotidiano

15 febbraio 2016

Una serie al cinema

Possono le serie pensate per la tv essere viste al cinema?

Per Cahiers du cinéma il miglior film francese è una serie televisiva. E sarà presto sul grande schermo del carbone.

Ecco la storia.

P'tit Quinquin (Alane Delhaye) è un ragazzino molto vivace di una dozzina d'anni che vive nella fattoria di famiglia. E' l'inizio delle vacanze estive e trascorre il tempo coi suoi due amici e la fidanzatina Eve, girando in bicicletta e facendo scherzi con i petardi. Ma un evento straordinario sopraggiunge con la scoperta di un cadavere di una vacca squartata ed esposta spettacolarmente in un bunker, una spoglia tanto più inquietante in quanto l'autopsia rivela dei resti umani all'interno. Arriva in città un'improbabile coppia di investigatori della polizia composta dal comandante Van der Weyden (un esilarante Bernard Pruvost), pieno di tic, e dal luogotenente Rudy Carpentie, che passerà tutto il film a fare assurde manovre da pilota di rally. "Non siamo qui per fare della filosofia", precisa subito uno dei due, mentre un secondo cadavere (una donna senza testa) fa la sua comparsa. Moltiplicando le piste false (la coppia di amanti, il giovane terrorista in erba perduto nel clima di pregnante razzismo locale) e le divagazioni, da un funerale assurdo a un concorso canoro radiofonico passando per la fanfara del 14 luglio, le indagini avanzano in una nebbia resa ancora più fitta da altri tre omicidi (l'ultima vittima è divorata dai suoi maiali), mentre P'tit Quinquin prosegue la sua vita di giovane adolescente.

Basato principalmente sulla ripetizione comica, l'umorismo assurdo (un presunto colpevole compare di tanto in tanto, coperto da un passamontagna) e un gioco sul concetto del doppio, il film è particolarmente divertente e ricco di momenti di autoironia. Bruno Dumont non manca di trattare i soggetti che lo hanno sempre affascinato: l'ereditarietà e la trasmissione del male, l'ipocrisia sociale e la quotidianità delle classi popolari ("è Zola!", esclama uno dei protagonisti). E a dispetto della loro apparenza parodistica, i personaggi esprimono una grande autenticità. Quanto alla messa in scena, essa è del tutto eccezionale rispetto al livello abituale delle serie TV europee, e Dumont trae il maggior vantaggio dalle risorse delle location (piccole strade di campagna, praterie, spiaggia, ecc.) e dai volti molto espressivi del suo cast. E se il cineasta mostra una faccia nuova introducendo la risata in una filmografia da cui era finora completamente assente, non bisogna dimenticare che in un registro molto più drammatico, L'humanité era già incentrato su un'indagine della polizia.

09 febbraio 2016

Leoni ne abbiamo?

Da questa settimana i leoni d'oro in programmazione al cinema del carbone sono ben due: ad affiancare il maestro Tavernier, premiato alla carriera e nostro ospite per ancora un mese, arriva in programmazione il vincitore all'ultima Mostra del cinema di Venezia, Ti guardo (Desde allà) di Lorenzo Vigas.

L'esordio nel lungometraggio del regista venezuelano getta un ponte di collegamento fra il Mediterraneo e l’America Latina, attestato daii rimandi a Pier Paolo Pasolini e a Henri-Cartier Bresson. “Indubbiamente sul piano tematico, Pasolini è stato un riferimento molto importante per me in questo film. Per quanto riguarda la forma, invece, non posso dire che sia ‘pasoliniana’. Direi che è più ‘bressoniana’. Bresson è stato un altro regista fondamentale per me” ha confermato lo stesso Vivas. Le tematiche trattate, inoltre, - povertà, distinzione in caste, rapporto omoerotico paideutico - attingono a piene mani dalla cultura greco-romana, in particolare dal Satyricon di Petronio, seppur in modo implicito e indiretto.

Armando (Alfredo Castro), protagonista della storia, è inabile nelle relazioni con gli altri. Il racconto avviene attraverso tale personaggio incapace di stabilire un livello di comunicazione emotiva ed affettiva con l’altro: un uomo che non riesce a connettersi col mondo che lo circonda, ha una visione nebulosa, sfocata come la fotografia di Sergio Armstrong, che serve a presentare Armando come un fantasma che vaga per le vie di Caracas. Un viaggio mentale ed emotivo che si snoda perfettamente nel susseguirsi delle scene, che fa percepire visivamente come Armando viva la sua freddezza e razionalità passeggiando fra le strade, mentre istintività, passione verso l’amato, emozioni, si manifestano fra le mura domestiche, al chiuso.

Secondo di tre prodotti cinematografici incentrati sull’essere genitori, questione fondamentale nel pensiero del regista venezuelano, originario di Mérida e figlio del noto pittore Oswaldo Viga, Ti guardo si concentra sull'assenza del ruolo genitoriale maschile. Il rapporto padre-figlio con Elder e l'inusuale relazione amorosa con lo stesso nasce da un comune sentimento di mancanza nei confronti della figura paterna.

04 febbraio 2016

Hail to the Duke!

C'era una volta un Duca Bianco che aveva un potere: tutto quello che toccava, diventava magico. Musica, costumi, videoclip, film, tutto era nelle sue corde, su tutte le mode aveva un'influenza. Era nato per stare sotto le luci della ribalta. Aveva fame di successo, di arte, di teatro, amava sperimentare e rompere le regole.

C'era una volta e adesso non c'è più, ma resta l'immensa fame di conoscenza che ci ha lasciato in mezzo secolo di carriera. Quella stessa fame di umanità che lo consuma in The hunger (Miriam si sveglia a mezzanotte) di Tony Scott, il film che abbiamo scelto tra i tanti per celebrarne i fasti cinematografici.

Per il lato musicale, ci penseranno I Libici a far ribollire il dancefloor del carbone, una nuova dimensione che non vediamo l'ora di sperimentare insieme a tutti quelli che vorranno fare festa, travestirsi e passare una serata di celebrazione della vita di un artista. Per gli assetati, non mancheranno i rifornimenti dell'Arci Virgilio Club.

Omaggiamo il Duca: sabato 6 febbraio, a partire dalle 21 è la David Bowie Tribute Night.

29 gennaio 2016

Crossing borders

Quando il governo non è in grado di fornire la minima sicurezza da organizzazioni criminali assassine, è accettabile prendere la legge nelle proprie mani per proteggere la tua famiglia, la tua terra, e il tuo paese? Questa è la domanda al centro di Cartel Land, un viaggio potentemente viscerale all'interno di due movimenti di vigilantes moderni.

Nello stato messicano di Michoacán, il dottor Jose Mireles, un medico di provincia conosciuto come "El Doctor," guida una rivolta cittadina contro i Cavalieri Templari, il violento cartello della droga che ha provocato il caos sulla regione per anni. Nel frattempo, in Altar Valley - un corridoio deserto dell'Arizona stretto e lungo cinquantadue miglia, conosciuto come Cocain Alley - Tim "Nailer" Foley, un veterano americano, è a capo di un piccolo gruppo paramilitare chiamato Arizona Border Recon, il cui obiettivo è di fermare le infiltrazioni delle guerre per droga messicane attraverso all'interno del confine statunitense.

L'intrepido regista Matthew Heineman - già autore di Escape Fire: The Fight to Rescue -  si cala nel cuore delle tenebre come Nailer , El Doctor , e il cartello ogni vie per apporre il proprio marchio di giustizia a una società in cui le istituzioni hanno fallito . Brillante , pericoloso , e provocatorio, Cartel Land è una graffiante meditazione sulla difficile separazione tra bene e male e sulla sottile linea di confine oltre la quale l'istinto di sopravvivenza sovrasta la legge.

In esclusiva al cinema del carbone, il documentario che ha vinto i premi per la migliore regia e fotografia al Sundance Film Festival, candidato all'Oscar 2016 di categoria, all'interno della rassegna Mondovisioni - i documentari di Internazionale.

Martedì 2 febbraio, in doppia proiezione alle 18.15 e alle 21.15.

20 gennaio 2016

Un leone d'oro al carbone

Il cinema del carbone in collaborazione con il Circolo del Cinema dedica una retrospettiva monografica a Bertrand Tavernier, il grande maestro francese che è stato insignito del Leone d'oro alla carriera durante l'ultima Mostra del cinema di Venezia.

Nato a Lione il 25 aprile 1941, Tavernier è un cineasta dalle molte facce, per la quantità dei temi, delle situazioni, dei generi toccati. Cinéphile accanito come tutti i ragazzi della sua età, ha cominciato occupandosi del cinema americano (e certi giudizi su personaggi e momenti del western si leggono ancora oggi con vero piacere). Contrariamente a Truffaut e agli altri critici che costituiranno la nouvelle vague,  lui ammira e difende le generazioni precedenti degli Autant-Lara, Clouzot, Aurenche e Bost, si ispira al cinema del Front populaire e del dopoguerra.

In trentacinque anni di attività, ha realizzato ventisette film, perlopiù di finzione ma anche documentari, film storici (da la Régence alla Belle époque, dal Medioevo all’occupazione) e contemporanei, tratti dai libri o costruiti da altri, ma sempre partendo da sceneggiature proprie. Curiosità e desiderio sono i motori del suo cinema: curiosità per le popolazioni, i mestieri, per le culture, per ciò che forma il presente e prepara l’avvenire, e desiderio che i suoi film contribuiscano a cambiare il mondo.

L'eclettismo di Bertrand Tavernier, questo il titolo della rassegna, propone in esclusiva ai soci del carbone e del circolo del cinema otto titoli che ripercorrono la carriera del cineasta lionese. Tutti i lunedì, a partire dal 25 gennaio, in doppia proiezione alle 18.15 e alle 21.15. Il film che apre la rassegna, L'orologiaio di Saint Paul, sarà presentato da Alberto Cattini, autore del catalogo dedicato.

10 gennaio 2016

Balliamo sul mondo

Le notizie trascurate da TV e quotidiani finalmente sul grande schermo. Attraverso MONDOVISIONI, Internazionale porta ogni anno al cinema le crisi politiche e umanitarie, le lotte contro l'illegalità, le nuove battaglie per i diritti civili e la democrazia, gli argomenti più scottanti al centro del dibattito globale. Mondovisioni è un progetto a cura di Cineagenzia per Internazionale e dal 2013 è organizzato a Mantova dal cinema del carbone insieme a molte associazioni del territorio.

I film inseriti ogni anno ad ottobre nel programma di Internazionale a Ferrara e poi proposti in tour in giro per la penisola rappresentano la migliore selezione di documentari a livello mondiale sui temi dell'attualità geo-politica, della libertà d'espressione, e dei diritti umani, proposti in lingua originale con sottotitoli in italiano. Poteri/cittadinanze sono i due poli di attrazione in mezzo ai quali si dispongono - in equilibrio precario - i sette film della selezione 2016 di Internazionale.

Martedì 19 gennaio, in doppia proiezione alle 18.15 e alle 21.15, in (T)error i registi statunitensi Lyric R. Cabral e David Felix Sutcliffe ci pongono di fronte a un domanda fondamentale quesito: la nostra libertà individuale può essere tranquillamente sacrificata sull'altare di azioni anti-terroristiche?

I documentari verranno proiettati su prenotazione al mattino successivo alle date indicate per le scuole superiori della provincia di Mantova, alla presenza - nei casi previsti - di un esperto. Per maggiori informazioni e costi dei biglietti o dell'abbonamento, consultate il programma integrale sul sito.

03 gennaio 2016

Bruno Fornara e Clint Eastwood il 16-17 gennaio sono al Carbone per un nuovo corso di cinema

Prima attore di secondo piano, poi protagonista in Italia dei film di Sergio Leone e in America dei film di Don Siegel, infine regista di ormai più di trenta film che continuano a crescere, Clint Eastwood impersona da quattro decenni – la sua prima regia è del 1971, Play Misty for MeBrivido nella notte – la figura del continuatore della classicità hollywoodiana. E la sua è una classicità che richiama e tiene viva la concezione del cinema americano degli anni d'oro, ma è anche una forma di classicità rinnovata dentro l'America e dentro il cinema che sono profondamente cambiati dagli anni Sessanta del Novecento a oggi.

È stato definito un monumento, una istituzione, un classico vivente. Ogni anno esce un suo film ed è sempre un avvenimento. È il cantore di 150 anni di storia americana dalla Guerra di Secessione con Il texano dagli occhi di ghiaccio, alla Seconda Guerra mondiale con il dittico Flags of Our FathersLettere da Iwo Jima, agli anni Trenta diChangeling, all'era Kennedy rivisitata in Un mondo perfetto. Ha portato sullo schermo, lui attore, regista e produttore, poliziotti brutali o onesti, pistoleri, soldati, cantanti country, gente comune. Ha frequentato generi diversi, dal western al poliziesco, al melodramma. Ha superato la scomunica ideologica con la quale era stato bollato ai suoi inizi. Insomma, è diventato la rappresentazione, non certo stereotipata ma viva, del cineasta americano. È il regista – lo si sente dire spesso – che “non sbaglia un film”.
Definirlo regista classico però non basta. Eastwood è grande regista anche perché è sfaccettato, complesso, addirittura contraddittorio. C'è chi l'ha definito “un ossimoro vivente”. Eastwood è certo classico per la sua frequentazione dei generi del cinema americano; è classico per la sua regia misurata, attenta, mai forzata, non esibita. Ma è anche moderno per la sua capacità di misurarsi con temi e luoghi della modernità: basta pensare a film comeMystic River o Million Dollar Baby. È moderno perché i generi li rivisita, li cambia, li sottopone a torsioni: si pensi a un western come Gli spietati, o a un melodramma come I ponti di Madison County, o a un dramma come Gran Torino. È moderno perché è ambiguo e ci spiazza; perché ci sembra talvolta, più che un classico, un primitivo, nel senso di anticonvenzionale, di capace di resuscitare emozioni, opposizioni e conflitti che vanno alla radice del nostro sentire e del nostro vivere. Eastwood usa, rinnova e conserva le forme classiche per immergerle dentro discorsi attuali, dentro la ricerca di una moralità contemporanea. È classicamente contemporaneo.

Bruno Fornara fa il critico cinematografico. È stato presidente della Federazione Italiana Cineforum e direttore editoriale di «Cineforum». Ha scritto Charles Laughton, La morte corre sul fiume e Geografia del cinema. È stato organizzatore del Bergamo Film Meeting ed è tra i selezionatori della Mostra del Cinema di Venezia. Insegna alla Scuola Holden di Torino e collabora con il Torino Film Festival. 

Iscrizione: 30 euro per i soci, 30 euro + tessera associativa 2014-2015 per i non soci, 15 euro per gli studenti delle scuole superiori e dell'Università di Mantova.

23 dicembre 2015

Un tuffo dove l'acqua è più blu

Sabato 26 dicembre alle 22.30 fa l'esordio su questi schermi A bigger splash di Luca Guadagnino, una nuova prima visione sotto l'albero del carbone.

Un melò che si tinge di thriller, girato sotto il sole cocente di Pantelleria, con protagonisti quattro straordinari interpreti: i veterani Ralph Fiennes e Tilda Swinton e le stelle nascenti Dakota Johnson e Matthias Schoenaerts.

Remake de La piscina di Jacques Deray, film del 1969 con Romy Schneider e Alain Delon, e fortemente ispirato all'arte pittorico-fotografico dell'artista pop britannico David Hockney, da cui trae visione poetica e titolo, quello di Guadagnino è un film che non lascia indifferenti, trascinando lo spettatore al ritmo frenetico dei Rolling Stones mentre rifllette sulla solitudine, il successo, gli eccessi e la grettezza della condizione umana.

18 dicembre 2015

Il cortometraggio fa festa!

Domenica 20 dicembre alle 16.15 la FESTA DEL CORTOMETRAGGIO è al cinema oberdan.

Nei giorni più brevi dell'anno, il carbone partecipa al programma di corti europei destinato all’infanzia, realizzato in collaborazione con il network di agenzie europee del cortometraggio Short Circuit insieme a 19 città europee e trenta italiane.

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